In morte di un anticolonialista: la scomparsa di René Vautier (1928-2015)
Avrebbe compiuto 87 anni il 15 gennaio. Sempre pronto a mettere a disposizione la sua energia alle cause più urgenti, Vautier è rimasto protagonista assoluto della scena del cinema diretto fino agli anni Duemila, quando la sua opera pluridecennale è stata progressivamente riscoperta e fatta oggetto di omaggi. Articolo a cura di www.cinemafrica.org
di Leonardo De Franceschi
Cineasta operaista, attivo da giovanissimo e decorato da de Gaulle per il suo ruolo di primo piano nella resistenza francese, Vautier si diploma nel 1948 all’IDHEC per dedicarsi da subito a un cinema diretto, scomodo, dalla parte dei subalterni. Il suo esordio lo consegna subito alla storia del documentario del Novecento, con Afrique 50 [nella foto], considerato il primo documentario anticolonialista prodotto in Francia, girato a soli 21 anni; inviato dalla Lega francese per l’insegnamento a testimoniare i benefici della colonizzazione nell’ambito scolastico, Vautier si trova a toccare con mano gli effetti nefasti del colonialismo francese nei paesi dell’Africa occidentale, e produce un pamphlet che gli vale oltre 40 anni di messa al bando e alcuni mesi di prigione.
Ma è sul fronte caldissimo della guerra d’Algeria che Vautier spenderà la sue energie creative e civili migliori. Nel 1954 gira un primo film di repertorio sulla conquista d’Algeria (1830) che termina pochi giorni dopo l’inizio della rivolta sull’Aurès, invocando un dialogo con il Fronte di Liberazione Nazionale. Verrà processato per attentato alla sicurezza nazionale dello Stato per questo film, sequestrato e andato perso. Nel 1956 decide di recarsi in Algeria per capire cosa stesse effettivamente succedendo, dal momento che la cortina fumogena eretta dai media nazionali era fittissima. Passa prima in Tunisia, da poco indipendente, e gira tra il 1957 e il 1958 ai confini tra i due paesi Algérie en flammes, un documentario di venti minuti postprodotto in Germania dell’Est. Si trova testimone del tragico massacro di Sakiet Sidi Youssef, l’8 febbraio 1958, costato oltre 70 vittime, diversi dei quali bambini e procurato dall’aviazione francese, dopo il quale decide di interrompere le riprese e chiudere il montaggio ritenendo fosse fondamentale mostrare il film prima possibile. Terminato il film, tuttavia, Vautier ignora che il suo referente in seno all’FLN è stato eliminato in quanto considerato ostile a Ben Bella, e finisce lui stesso incarcerato e torturato per due anni dalle autorità provvisorie algerine. Liberato e completamente riabilitato in quanto protagonista della scena del nuovo cinema algerino anticoloniale, Vautier assume l’incarico di direttore del Centre audiovisuel d’Alger dal 1962 al 1965 ma senza mai rinunciare all’indipendenza e alla libertà di giudizio, come prova una storica lite con Fanon.
Rientrato in Francia, entra nella banda di cineasti-operaisti del Groupe Medvedkine, insieme a Ivens, Godard e Marker e combatte una battaglia di libertà, impegnandosi di persona in uno sciopero della fame dal 1° gennaio 1973 contro la censura politica, in protesta contro un blocco opposto a un film che ricordava la terribile strage dimenticata del 17 ottobre 1961 avvenuta a Parigi contro i manifestanti a favore dell’Algeria libera. Sempre pronto a mettere a disposizione la sua energia alle cause più urgenti, Vautier è rimasto protagonista assoluto della scena del cinema diretto fino agli anni Duemila, quando la sua opera pluridecennale è stata progressivamente riscoperta e fatta oggetto di omaggi.
Nel 2013, la cooperativa Les Mutins de Pangée ha editato una pregevole edizione libro più dvd di Afrique 50, che non dovrebbe mancare nella biblioteca di nessun DAMS o scuola di cinema degni di questo nome.
Ricordo con particolare calore la testimonianza di sua figlia Moïra (nella foto ritratta con il padre), in cui emergevano insieme la consapevolezza del ruolo storico giocato da un cineasta come René Vautier per un cinema libero e in grado di smuovere le coscienze intorno a temi di fondamentale rilevanza per la civiltà di un paese, il desiderio di battersi per il recupero di questa memoria e una sorta di presa di testimone per portare avanti, con modestia, questa missione.
Articolo a cura di www.cinemafrica.org