(IN&OUT) – OUT. I soldi buttati: The Wolf of Wall Street, di Martin Scorsese

leonardo di caprio in the wolf of wall street
L’ingolfamento sembra essere diventato la figura retorica chiave della grandezza: l’ingordigia che racconta Scorsese non è  quella dei suoi personaggi ma di un cinema, questo di oggi, che ancora una volta sembra aver ceduto al vecchio trucco di mostrarsi dopatamente sempre più grande per poterci allungare una mazzetta e patteggiare la condanna: la trickle-down economics di Hollywood

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

"Siate onesti…"
Massimo Causo, sala stampa, Cannes 64

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
THE OTHER SIDE OF GENIUS. IL CINEMA DI ORSON WELLES – LA MONOGRAFIA

--------------------------------------------------------------
Il grande cinema ti getta i soldi in faccia: il budget “si vede tutto sullo schermo” (cioè lì rimane, non evapora svanendo come nei film di Michael Bay, e come Bay ha insegnato a fare a JC Chandor e al suo one man blockbuster), anzi si spreca come la Costa Concordia che fa capolino nella Grande Bellezza. The wolf of wall street, tra tutti gli occhialuti kolossal intelligenti plurinominati agli Oscar di quest’anno (Jonze, Cuarón, O.Russell,…), è quello che meglio racconta di una Hollywood con ogni evidenza impegnata in una sorta di operazione Cleopatra 2.0, di cui fa parte anche l’inglobamento di stilemi e iconografie del cinema indie (Payne, Vallée…), tutto probabilmente contro i muscoli sempre più oliati della narrazione televisiva e del mercato nero: “Scorsese va davvero visto per forza al cinema” (il percorso di Steve McQueen e del suo nuovo slavery movie intellettuale dice tutto questo in maniera eloquente).

E’ forse per questo che il blasonato sceneggiatore tv Terence Winter sembra preferire reiteratamente risolvere le sequenze di Wolf of Wall Street con i monologhi, in scena o meno, più che con le linee di dialogo, espediente considerato ormai forse troppo televisivo. E’ allora un dato di fatto quello che alcuni lettori ci fanno notare nei commenti alla recensione IN di Carlo Valeri: Martin Scorsese è un cineasta più giovane di noi, talmente giovane da potersi permettere ancora di sfilarsi l’orologio d’oro da 40000 dollari dal polso e lanciarlo al suo pubblico, va da sé in ralenti deformante che plana dall’alto. Non troppo dissimile infatti da quello che vediamo fare ai suoi meno attempati colleghi che non hanno i problemi del vecchio James Gray, che alla sua immigrante non può nemmanco far attraversare la New York d’epoca alla ricerca dei parenti americani, ma deve staccare da un interno all’altro, perché nessuno gliel’ha fatta ricostruire, la città: bisogna girare il film sotto i ponti, letteralmente. Ha ragione Rob Reiner a incazzarsi così tanto, se a Jordan Belfort cadono gli acquascooter e l’elicottero dalla nave durante il nubifragio, e nessuno se ne cura: non c’è chiaramente Niki Lauda nei paraggi, a regolare gli sprechi della macchina per farla diventare più efficiente.
Anzi, l’ingolfamento sembra essere diventato la figura retorica chiave della grandezza: l’ingordigia che racconta Scorsese non è davvero quella dei suoi personaggi quanto quella di un cinema, questo di oggi, che ancora una volta sembra aver ceduto al vecchio trucco di mostrarsi dopatamente sempre più grande per poterci allungare una mazzetta e patteggiare la condanna.

Inutile dirlo, il gioco funziona (tanto poi usciti dal cinema prendiamo tutti la metro come l’agente Denham, magari guardandoci un episodio di Boardwalk Empire sul tablet durante il tragitto), ed è sempre lo stesso, quello che svela dall’inizio Matthew McConaughey (che per l’appunto si produce anch’egli in un monologo): tutto questo cinema è fugazi quanto un conto in Svizzera. Se il film sembra voler raccontare anche formalmente lo Yukon artificiale del sogno americano quotato in Borsa, in realtà svela soprattutto la trickle-down economics del cinema hollywoodiano. Ve lo giuro, stavolta non è una questione morale, né un problema etico: Wolf of Wall Street giustifica il cinema esistente, non troppo differentemente dall’apparato promozionale di Nymphomaniac di Lars Von Trier (che potrebbe essere suo e nostro malgrado il progetto definitivo su tutta questa questione dell’accumulo, di star, di durate, di hype…).
Non c’è nulla di vivo o arguto o minimamente interessante o addirittura controcorrente, com’è parso di vedere a molti, in questo (cosa dovremmo dire del dinamitardo testamento high budget di German allora?): di fatto, è solo un altro scintillante grande film. Verrà sicuramente scaricato alla grande.

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    3 commenti

    • I soldi buttati sono solo quelli per pagare voi e scrivere questi deliri

    • Antonio Salerno

      i soldi buttati sono solo quelli per pagare gli anonimi che mettono commenti inutili.
      Non sono d'accordo con Sozzo, ma il suo pezzo è un vero cult!
      E proprio oggi ho trovato online il film di scorsese con i sottotitoli italiani.
      Non ci resta che scaricare?

    • ma rileggendoti da sobrio riesci a capire quello che hai scritto?