"Inferno Bianco", di Stefano Jacurti

inferno bianco
Il western-horror di Jacurti cerca di immergere la materialità fisica del set abruzzese in un prodotto audiovisivo capace di rinnovare con umiltà e ingegnosità artigianale ed autopromozionale il film di genere in Italia. Una piccola grande scommessa vinta dal regista e i suoi collaboratori

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Inferno biancoAll'inizio è come se ci fosse una crasi tra l'ambientazione innevata delle montagne abruzzesi e la recitazione teatrale dei protagonisti rimasti isolati in una terra desolata e ripensata visivamente nella leggerezza digitale post-televisiva. In parte i retaggi teatrali del regista Stefano Jacurti sembrano così quasi allontanare il suo Inferno Bianco dal cinema, per reinventarsi in una dimensione ibrida che ricorda gli sceneggiati televisivi in bianconero degli anni sessanta. Eppure è proprio questa sua tensione alla contaminazione – estetica certo, tra arte bassa e alta – a marchiare sotto diversi punti di vista l'esperimento indipendente di Jacurti, questo strano western-horror che inizia come un regolamento di conti classico – la spedizione dell'archeologo Morrison che si ritrova senza meta nelle montagne dell'Oregon a dover fare i conti con i membri della sua stessa squadra, composta da pistoleri e dalla cugina Peggy – per poi assurgere a dimensioni astratte e orrorifiche. Ecco che allora Inferno Bianco diventa alla lunga il piccolo sogno produttivo e realizzativo con cui Jacurti, qui nelle vesti anche di sceneggiatore e interprete, cerca di immergere la materialità fisica del set abruzzese in un prodotto audiovisivo capace di rinnovare con umiltà e ingegnosità artigianale ed autopromozionale il film di genere in Italia. Una piccola grande scommessa vinta dal regista e dai suoi collaboratori visto il successo di nicchia con note di stima di illustri addetti ai lavori che, nei mesi precedenti, il film è riuscito ad avere nei circuiti non ufficiali e che per certi versi potrebbe inaugurare una strada nuova per le produzioni indipendenti.

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