inizioPartita. Assassin’s Creed Odyssey (PS4) – La recensione

Fare i conti con la libertà lasciata ai giocatori open world di nuova generazione porta la domanda su che tipo di player vogliamo essere nell’autorappresentazione di noi della società degli avatar

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Le pagine specializzate pullulano in rete di articoli di indicazioni e consigli sulle “scelte migliori” da prendere giocando al nuovo Assassin’s Creed per progredire al meglio all’interno dell’avventura. E’ un aspetto che va diventando di titolo in titolo sempre più fondamentale nell’esperienza videoludica “adattiva”: queste scelte non riguardano in quale cunicolo infilarsi per scovare questo o quel segreto o potenziamento, né l’armamentario con cui arrivare pronti alla missione. Si tratta di decisioni che coinvolgono la sfera etica del nostro personaggio, in grado di modificare poi pesantemente tutti gli avvenimenti che verranno. Essere più o meno clementi con i nemici, o generosi con i bisognosi che chiedono aiuto nelle missioni secondarie, si traduce in difficoltà o in ricompense che riconfigureranno del tutto l’arco narrativo del gioco, fino a portarci ad uno dei nove finali possibili (!) escogitati dagli sviluppatori.
Quel grafico di tutte le variabili attraversabili in Bandersnatch che gira per Reddit sembra sul serio un gps di quartiere in confronto alle mappe pantagrueliche esplorabili in prodotti come questo Odyssey, o i pluricitati Spider-man e Red Dead Redemption 2. Ma correre di qua e di là tra Kythera, Sparta e Atene mai come stavolta si porta dietro un meccanismo di crescita del nostro character che non si ferma soltanto alle implementazioni applicate su equipaggiamento e abilità (da Cacciatore, Guerriero o Assassino), ma coinvolge soprattutto il suo training da eroe oppure da sicario senza pietà (ammazzare ad esempio quegli innocenti nel tempio che ti hanno beccato a rubare le offerte ai piedi della statua? Se li lasci andare potrebbero spargere la voce, far aumentare la taglia sul tuo conto, calamitare sulle tue tracce i peggio tagliagole…).

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E’ vero che in esperimenti come Detroit: Become Human questo aspetto assume un’importanza ancora maggiore in confronto ad un titolo come Assassin’s Creed dove, al netto dell’espansione dell’open world e del tanto vituperato meccanismo quasi dittatorialmente RPG, alla fine continua a trattarsi di fare i conti con scalate arditissime, attacchi furtivi accucciati nei cespugli, salti della fede e grandi, affollatissime battaglie (qui anche navali tra le acque del Mediterraneo, particolarmente spassose).
Ma partecipare in maniera più o meno consapevole alla nascita di un’idea di morale e diritti dell’uomo mentre decidiamo se tradire Atene per schierarci, almeno in questa battaglia di conquista, con Sparta, assume un fascino tutto nuovo se consideriamo che andiamo spargendo più o meno sangue nel posto e nel periodo storico considerati la culla della civiltà e di un’intera visione culturale dell’umanità.

Una domanda riecheggia tra le baie, gli avamposti e le grotte, anche se, come chi scrive, certe volte passate ore a nuotare nell’acqua digitale tra relitti, squali famelici e tesori sui fondali, a rubare barchette o a far svolazzare Icaro tra vallate e montagne, di fatto confermandovi come il misthios più scansafatiche e perdigiorno del Peloponneso (grazie a Zeus ci penserà l’innamoramento per la cazzuta Odessa a svegliarci dal torpore da esploratori senza meta, snodo romantico invariato se decidiamo di giocare manovrando il nerboruto Alexios o l’irresistibile Kassandra…). E’ un quesito che una parte di noi continua a farsi, una domanda che con molta probabilità è inedita nella storia della narrazione audiovisiva: quanto vogliamo che il protagonista ci rappresenti?
E’ una domanda-chiave per una società di avatar come la nostra, che vive alimentando quotidianamente un alter-ego di sé nei raddoppi della vita virtuale e iperconnessa: quanto vogliamo somigliare alla persona che raccontiamo di essere nelle stories e nelle bacheche?
Allo stesso tempo, come vogliamo crescere questa personificazione di noi che vive tra i vigneti di Cefalonia e che possiede in più quantomeno la capacità di assassinare piombando dall’alto?
Decenni di produzione videoludica, cinematografica e letteraria sono stati costruiti con l’intento di sublimare il nostro desiderio di violenza, e di supportare la nostra fascinazione proibita per i villain, i personaggi spietati, risoluti e crudelissimi. Ma arriva un tempo in cui non hai più voglia di ascoltare musica che suoni come “una fucilata alla testa”, come scriveva Nick Hornby su Frankie Teardrop dei Suicide: e se fossimo allora giunti ad un’epoca post-adolescenziale della cultura popolare, punto in cui riapprezzare il valore di quei noiosissimi personaggi buoni, scoprire che il punteggio massimo adesso si può raggiungere non solo con il kill count progressivo ma anche rinunciando a qualche punch line gradassa nei dialoghi a tendina, scegliendo invece la risposta accomodante?
Quanto voglio andare fiero del giocatore/utente che sono diventato? La mia vita in sincronizzazione rappresenta davvero la migliore versione possibile di me stesso?
Forse è questo l’Ainigmata Ostraka definitivo di Assassin’s Creed Odyssey, e dell’epoca in cui viviamo.

 

Requisiti PS4:
– Da utilizzarsi con (consigliato): PlayStation 4 Pro (1 TB)
– Dispositivo di controllo: DualShock 4 Wireless Controller
– Internet: Richiesta connessione internet stabile per scaricare gli aggiornamenti
Voto: 85/100
Tipologia: open world, RPG
Produttore: Ubisoft
Sviluppatore: Ubisoft
Distributore: PlayStation Network

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