inizioPartita. La “luce liquida” contro la soglia-limite della Prima Legge di Moore

Una rapida dissertazione sulle filosofie di sviluppo delle future CPU, per superare, attraverso la tecnologia della “luce liquida”, la soglia-limite della Prima Legge di Moore…

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------
Questo simpatico vecchiarello è Gordon Moore; metà (...e forse più) dei PC in giro per il mondo funzionano con CPU della Intel, azienda da lui co-fondata...

Questo simpatico vecchiarello è Gordon Moore; metà (…e forse più) dei PC in giro per il mondo funzionano con CPU della Intel, azienda da lui co-fondata…

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Gordon Moore, noto ai più per essere stato tra i fondatori della Fairchild Semiconductor, e, successivamente, co-fondatore insieme a Robert Noyce della più famosa Intel, nel 1965 enunciò una sua osservazione empirica che fotografava lo stato dell’arte nella realizzazione dei microprocessori per applicazioni informatiche: “La complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistori per chip, raddoppia circa ogni 12 mesi.”. Questa proposizione, in seguito ritoccata e riformulata per aderire meglio alla realtà delle cose (…la tempistica correttamente rilevata da evidenze oggettive risulta in più o meno di 18 mesi, e non di 12), si è comunque dimostrata contenutisticamente  esatta, ed  è stata ridenominata nel corso degli anni in “Prima Legge di Moore”. In soldoni, se si prende in considerazione la data di rilascio di una nuova generazione di CPU, si potrà constatare che dopo circa un anno e mezzo ne verrà rilasciata un’altra con performance raddoppiate.

Questi risultati si ottenevano un tempo attraverso il continuo miglioramento delle procedure di stampaggio dei “wafer” (cioè minuscole e sottilissime “fettine”) in silicio da cui si ricavavano i “core” (o “nuclei“) delle “CPU” (Central Processing Unit, vale a dire le “unità di elaborazione centrale“) dei computer.

Piccolo ma estremamente efficace... il chip

Piccolo ma estremamente efficace… il chip

In pratica, dopo aver disegnato il complesso dei circuiti del microprocessore di una CPU su un “blueprint” (un disegno tecnico) di enormi dimensioni, si procedeva alla sua riproduzione in proporzione esatta ma microscopica, tramite deposito sui wafer-base, strato per strato, di silicio aggiuntivo dalle proprietà modificate tramite l’addizione di “impurità”, attraverso un processo denominato “drogaggio del silicio” (che consiste nell’aggiungere al semiconduttore puro, detto “intrinseco“, piccole percentuali di altri elementi non facenti parte del semiconduttore stesso, allo scopo di modificarne le proprietà elettriche/elettroniche). Il silicio “drogato” veniva, in pratica, depositato sul wafer seguendo pedissequamente (ma in piccolissimo) il disegno originale, in modo da stampare quest’ultimo sulla fettina di silicio. Date le loro dimensioni minime, su di una stessa fettina di silicio potevano, inoltre, essere ricavati moltissimi “chip” (…in inglese “pezzettini”), ognuno contenente un core stampato; i chip venivano poi separati l’uno dall’altro, ritagliandoli e preparandoli all’utilizzo.

Naturalmente, nel corso degli anni, si è passati dai blueprint su carta ai progetti “virtuali” impostati a schermo tramite software (più precisi), sono stati migliorati i sistemi per l’addizione del silicio drogato, sono state ancora ridotte le proporzioni di stampaggio dei microcircuiti, sono stati migliorati i sistemi di ritaglio (attraverso tecnologia laser) per ottenere meno scarto di produzione dovuto a prodotti fallati. E, in definitiva, si è arrivati alla realizzazione di CPU sempre più potenti, le cui prestazioni seguivano le previsioni dettate dalla Prima Legge di Moore.

Almeno fino ai primi anni 2000, quando i produttori di semiconduttori sono intoppati nei limiti fisici dei microcircuiti elettrici.

In effetti, la Prima Legge di Moore smette teoricamente di funzionare oltre una certa “soglia-limite” dovuta alla riduzione delle dimensioni effettive dei transistor, e quindi della scala di integrazione, al di sotto della quale scaturiscono fenomeni indesiderati di natura quantistica che possono alterare/inibire il corretto funzionamento dei microcircuiti elettronici. Cioè, per fare un discorso da “bar dello sport”, arrivati ad un certo punto nel “rimpicciolimento” dei circuiti stampati, non si potrebbe proseguire oltre su quella strada perché, anche riuscendo a rimpicciolirli ulteriormente, essi non funzionerebbero più correttamente.

Questo è un processore Intel della serie Core i7, basato sulla tecnologia "multicore"...

Questo è un processore Intel della serie Core i7, basato sulla tecnologia “multicore”…

La soglia-limite di cui sopra è stata già raggiunta con la generazione dei processori Pentium; nonostante ciò, i grandi produttori di CPU si sono industriati ad aumentare le prestazioni di calcolo delle stesse attraverso la tecnologia definita “multicore”, dove la CPU non è più basata su di un singolo core, ma su più core che lavorano parallelamente. Per cui, tutto sommato, la Prima Legge di Moore non ne ha apparentemente risentito più di tanto e risulta ancora applicabile. Tuttavia, con buona probabilità, oltre il 2020 l’assunto su cui essa si basa non potrà più reggere, dato che le prestazioni dei microprocessori ultimamente sono state incrementate solo tramite artifizi architetturali, anch’essi purtroppo destinati a raggiungere i propri limiti di utilizzo.

Significa questo che dovremo rinunciare ad avere computer sempre più potenti? Non proprio.

Il problema che riguarda i semiconduttori elettrici non riguarda, ad esempio, la luce, che gli scienziati hanno cominciato a prendere in considerazione già da parecchio tempo come valida alternativa alla corrente elettrica per le CPU dell’oltre-soglia.

Tuttavia le tecnologie per la produzione di “CPU fotoniche” (basate cioè sull’utilizzo della luce) non sono ancora mature, anche perché non vi sono stati e non vi sono tuttora massivi investimenti nella ricerca da parte dell’industria di settore, ancora ancorata alle tecnologie basate sull’elettronica. Ci sono prototipizzazioni che hanno raggiunto lo stadio di applicazione pratica, ma non sembra esserci la volontà, al momento, di andare oltre.

Fra quest’ultime, va segnalato come decisamente promettente l’”interruttore a polaritone di Bose-Einstein” ideato dall’Università di Cambridge, basato appunto sulle proprietà del polaritone di Bose-Einstein, una quasi-particella, dotata di “spin” (o “senso di rotazione“).

Si può controllare lo spin di un flusso di polaritoni, definito condensato di Bose-Einstein, attraverso un relativamente debole campo elettrico...

Si può controllare lo spin di un flusso di polaritoni, definito condensato di Bose-Einstein, attraverso un relativamente debole campo elettrico…

Un flusso di polaritoni (detto “condensato di Bose-Einstein“) si comporta come un fluido che per metà è materia e per metà è luce; in pratica potremmo definirla “luce liquida”. Gli scienziati di Cambridge hanno ideato e realizzato un campo elettrico in grado di interagire con i polaritoni del condensato di Bose-Einstein, permettendo di controllarne lo spin. Finora era necessario utilizzare delle interfacce funzionanti per mezzo di segnali ottici o di potenti campi magnetici se si intendeva alterare lo spin di un polaritone; con la nuova tecnologia di Cambridge, per ottenere lo stesso risultato basta un debole (…ma sufficiente) campo elettrico. Quindi lo spin e, congiuntamente ad esso, la luce emessa dal polaritone possono essere facilmente ed opportunamente controllati per creare un segnale digitale. Con il vantaggio di poter interfacciare e continuare ad utilizzare insieme con la nuova tecnologia fotonica le applicazioni elettroniche fin qui sviluppate dall’industria, senza dover re-inventare da zero applicazioni completamente nuove basate esclusivamente sulla fotonica (in pratica, questa luce liquida è un qualcosa che funziona come “trait d’union” tra due tecnologie diverse).

Inoltre, pur trattandosi di tecnologia prototipica, l’apparato messo a punto presso Cambridge è stato realizzato grazie a tecniche produttive già note e, perciò, in linea del tutto teorica, qualche prodotto derivato potrebbe già essere costruito in serie. Quindi, anche se la Prima Legge di Moore dovesse andare a farsi benedire, non preoccupatevi: il progresso tecnologico permetterà comunque di superare i limiti fisici dei microcircuiti elettrici, fornendoci CPU in progressione sempre più potenti. Rimane solo da chiedersi quando arriveranno sul mercato i primi computer, tablet e smartphone con CPU a luce liquida…

--------------------------------------------------------------
CORSO COLOR CORRECTION con DA VINCI, DAL 5 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative