inizioPartita. Strasburgo prende posizione contro l’obsolescenza programmata…

Vedremo nei prossimi mesi se la nuova risoluzione dell’Europarlamento avrà applicazione reale o se, piuttosto, finirà nel dimenticatoio delle idee buone contrarie ai nonsense del libero commercio

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Qualche tempo fa vi avevamo parlato della discutibile pratica commerciale che fa ricorso all'”obsolescenza programmata“, e del perché, soprattutto per quel che riguarda il mercato dei beni di consumo tecnologici, essa si stia rivelando, da una parte, una vera e propria gallina dalle uova d’oro per i produttori, e dall’altra, una fatale iattura per gli acquirenti, che vedono i beni acquistati invecchiare troppo rapidamente, per via dell’indisponibilità di pezzi di ricambio o della difficoltà sensibile e/o scoraggiante onerosità delle riparazioni.

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Non sappiamo se si tratti o meno di buone notizie, nel senso che sarà il tempo a decidere, ma le acque si sono finalmente smosse.

Il Parlamento UE ha approvato nei giorni scorsi (…e a larga maggioranza: 662 sì, solo 32 no e appena 2 astensioni) una risoluzione che impegna la Commissione e gli Stati membri dell’Unione ad operare per ottenere dai produttori di beni (…ivi compresi quelli tecnologici) un ciclo di vita più lungo rispetto agli odierni standard commerciali, ciò per contrastare il fenomeno sempre più evidente del ricorso dei produttori stessi all’espediente dell’”obsolescenza programmata” per assicurarsi entrate costanti.

La risoluzione approvata a Strasburgo, ed intitolata “Una durata più lunga dei prodotti: vantaggi per consumatori ed imprese”, prende spunto dalle numerose petizioni presentate negli ultimi anni dalle associazioni di consumatori e da semplici gruppi di cittadini, oltre che dai sondaggi di opinione effettuati da note agenzie di ricerche statistiche e/o di mercato a livello europeo, che evidenziano come, da tempo, i cittadini europei avvertano l’esigenza di poter semplicemente riparare i propri beni oggetto di avaria invece che disfarsene o sostituirli con prodotti acquistati nuovi, cosa che sempre più spesso si vedono costretti a fare per via dell’imperante filosofia “usa & getta” imposta dalle aziende produttrici.

Si sta con fatica cercando di introdurre, sin dalla fase progettuale di un bene fungibile, il concetto di “criterio di resistenza minima”, in modo che, per ciascuna categoria di prodotti, venga stabilita attraverso criteri legislativi una determinata durata utile al di sotto della quale il prodotto non potrà essere commercializzato.

Inoltre, sono allo studio adeguate incentivazioni di tipo economico e/o fiscale per promuovere la realizzazione di prodotti di fattura durevole, cioè di qualità e resistenza elevate, con la possibilità di essere agevolmente riparati in caso di guasti e/o malfunzionamenti. Questo per incoraggiare i segmenti di mercato relativi alla riparazione

gif critica 2ed alla vendita di prodotti di seconda mano (leggi “mercato dell’usato”), e specificatamente per consentire all’acquirente finale di un bene in commercio di rivolgersi, nel caso lo preferisca, a riparatori indipendenti.

Nel contempo, si parla anche di altre misure cautelative che verranno garantite all’acquirente, come, ad esempio, l’estensione della garanzia nel caso un intervento di riparazione si protragga con tempistiche più lunghe di un mese.

Oppure la sicurezza di poter accedere per diversi anni, nel caso di necessità, ai pezzi di ricambio essenziali per una determinata riparazione e per il corretto e sicuro funzionamento di un determinato prodotto, perché tali pezzi di ricambio dovranno essere resi disponibili “ad un prezzo commisurato alla natura ed alla durata di vita del prodotto”.

Vedremo nei prossimi mesi se questa risoluzione troverà una sua applicazione reale o se, piuttosto, finirà nel dimenticatoio delle idee buone contrarie ai nonsense del libero commercio. Non ci si vuole far pervadere dal pessimismo cosmico, tuttavia, a fronte dei buoni propositi espressi dall’Europarlamento, nella consuetudine commerciale attuale valgono di più gli imperativi provenienti dalle multinazionali delle nuove tecnologie d’oltreoceano, notoriamente poco propense a sottostare ai vincoli legislativi europei.

Dal canto nostro siamo comunque contenti della presa di posizione parlamentare di Strasburgo, e di averne inconsapevolmente anticipato l’effettivo impegno.

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