Instant Family, di Sean Anders

Terza collaborazione di fila tra Mark Wahlberg e Anders dopo il dittico dei Daddy’s Home, stavolta è un film in grado di far venire i lucciconi e insieme di far ridere parlando di adozioni difficili

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Terza collaborazione di fila tra Mark Wahlberg e Sean Anders dopo il sublime dittico dei Daddy’s Home, Instant Family è l’approdo maggiormente mainstream del regista che aveva esordito con Sex Movie 4D, grazie fondamentalmente al passaggio produttivo dall’ombra protettiva di Adam McKay a quella più solidamente old school dello stesso Wahlberg.
L’attore conferma così la propria passione per un cinema più “artigianale” da contrapporre al suo impegno nei megablockbuster come i Transformers: a tenere insieme i suoi personaggi è sempre però quel calore umano nella rappresentazione dell’everyman che lo lega apertamente alla grande tradizione hollywoodiana delle star calate nei racconti della gente comune. Qui Wahlberg conferma le sue capacità di spalla, in grado di supportare il partner sulla scena e di delineare al contempo con efficacia il proprio spazio, lasciando di fatto la scena a Rose Byrne, alla performance brillante definitiva dopo i due Cattivi Vicini al fianco di Seth Rogen. Ma quando il personaggio di Pete porta la figlia adottiva Lizzy nel suo cantiere ad aiutarlo con un po’ di demolizioni edili in modo da farle sfogare le proprie teenage wastelands, senti proprio che Wahlberg sta tirando una linea precisa che arriva fin lì dritta dritta dalle camicie a quadri di Kevin Costner.

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Sean Anders è un autore sempre più interessante e bravo, e Instant Family è in grado di far venire i lucciconi in più occasioni (la prima volta che la piccola Lita pronuncia “papà” sugli spalti di una partita di calcio…), mentre sembra proseguire un discorso che sta molto a cuore al cineasta, intrapreso sin dal ben più scorretto ma micidiale Indovina perché ti odio con Adam Sandler: i rapporti genitore-figlio quando la biologia lascia il posto a dinamiche familiari più complesse e “confuse”. La coppia affidataria di questi tre fratelli latinos e problematici, due bambini più l’adolescente Isabela Moner, deve vedersela con i mille imprevisti di questo scombiccherato nucleo familiare assemblatosi all’improvviso e con un po’ di incoscienza, ma soprattutto con i pregiudizi e la cattiveria di parenti e società riguardo le adozioni “difficili”.
Anders accetta la sfida di affrontare un tema simile, con relative propaggini educational ed edificanti che pure non gli riesce del tutto di evitare, con le armi della comicità, già a partire dal corso per foster parents che i due affrontano nella prima parte della vicenda.
Anche se il film soffre forse in qualche punto di qualche lungaggine e risvolto narrativo di troppo, e gli inserti slapstick di botte in testa e disastri domestici sventati per poco continuano ad essere le sequenze che riescono meno al regista, come già nei lavori insieme a Will Ferrell.

Se ce ne fosse ulteriormente bisogno, Instant Family conferma insomma nella commedia il genere più politico dell’industria, come clamorosamente sottolineato dalla felice intuizione di Sanders di inserire come alleggerimento un’intera squadra di comedian di nuova generazione a corredo dei due protagonisti: da Tig Notaro a Iliza Shlesinger a Tom Segura, al fianco di Wahlberg, Byrne e delle irresistibili Octavia Spencer e Margo Martindale sfilano alcuni degli irrinunciabili performer della post-comedy.

Titolo originale: id.
Regia: Sean Anders
Interpreti: Mark Wahlberg, Rose Byrne, Isabela Moner, Octavia Spencer, Tig Notaro, Iliza Shlesinger, Tom Segura, Margo Martindale, Joan Cusack
Distribuzione: Fox
Durata: 108′
Origine: USA, 2018

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