INTERVISTE – "A questo cinema manca il coraggio di sbagliare". Incontro con Gianluca Arcopinto

Da pochi giorni la PabloFilm, casa di distribuzione indipendente, non esiste più. Un pessimo segnale per la salute del nostro cinema: da oggi per gli esordienti approdare alla sala sarà un po' più difficile…

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Se ammettere le proprie sconfitte non è molto di moda, ammetterle pubblicamente rasenta l'eroismo. È quanto ha voluto fare Gianluca Arcopinto, creatore e responsabile della casa di distribuzione indipendente PabloFilm dal 1998, in una serata di addio e celebrazione svoltasi a Roma il 2 maggio. In questi anni la PabloFilm ha rappresentato una risorsa unica e assolutamente fuori da ogni corrente per il cinema italiano: all'intuito e all'impegno del suo fondatore si devono gli esordi sullo schermo di autori come Matteo Garrone (Ospiti, 1998) o Gianluca Maria Tavarelli (Un amore, 1999). Ma la Pablo ha fatto approdare nelle sale anche una nutrita serie di documentari, da Non mi basta mai di Guido Chiesa e Daniele Vicari a Estranei alla massa di Vincenzo Marra a Piccola pesca di Enrico Pitzianti, per finire con il celebrato Nichi firmato dallo stesso Arcopinto. Oggi la Pablo non esiste più. Arcopinto parla chiaro attribuendosi autocriticamente la responsabilità di alcuni film sbagliati ma denunciando la gravità della crisi di un mercato fagocitato da due giganti con i quali ogni casa di distribuzione, pena la morte appunto, è costretta a scendere a patti: 01 e Medusa. Coerentemente con le sue finalità "etiche", la Pablo ha rifiutato per ragioni di etica politica ogni rapporto con l'azienda di proprietà dell'ex Presidente del Consiglio; e oggi, pagandone le conseguenze, Arcopinto si rammarica che compagnie più affermate o autori dotati di forte potere contrattuale non abbiano tentato con maggiore caparbietà strade alternative a questo duopolio. Abbiamo incontrato Gianluca Arcopinto.

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Conclusa l'esperienza PabloFilm, quali saranno le sue prossime mosse?


 


La mia attività di produttore continua. Forse con maggiore consapevolezza dei rischi e maggiore cautela, poiché senza la Pablo non potremo più contare su una distribuzione certa e dovremo sondare altre opportunità. Sicuramente però le nostre scelte di fondo non cambieranno: continueremo a fare solo il cinema che ci interessa, che ci sembra importante. Attualmente insieme ad Andrea Occhipinti, stiamo producendo il nuovo film di Salvatore Mereu; in seguito lavoreremo con Enrico Pitzianti, di cui la Pablo aveva distribuito Piccola Pesca.


 


Qual è stato il momento più florido per la Pablo?


 


Nell'annata 1999-2000 abbiamo distribuito Un amore di Gianluca Maria Tavarelli, il nostro maggior successo di pubblico, e L'ultimo cinema del mondo di Alejandro Agresti. In assoluto, però, riuscire a portare il documentario in sala ci ha sempre riempito di soddisfazione.


 


La Pablo ha consentito ad alcuni esordienti di accedere alle sale e acquistare visibilità. Come vede il futuro dei giovani che vogliono esordire oggi?


 


Nerissimo, purtroppo. Un film come Un amore oggi non sarebbe uscito. Trovo preoccupante la mancanza di ricambio generazionale del nostro cinema, l'ostinazione a conservare le posizioni di potere raggiunte, la mancanza di coraggio. Nessuno osa fare scelte coraggiose. L'Istituto Luce ci prova, ma solo episodicamente. E dubito fortemente che con il nuovo governo la situazione possa cambiare. Se penso a quanti, dal centrosinistra, si sono scagliati contro Bertinotti quando si è azzardato a dire che Mediaset andrebbe ridimensionata…


 


Lei pensa che il cancro del nostro cinema di oggi non sia la tanto decantata mancanza di idee, ma la politica?


 


La politica cinematografica, sì. Le idee ci sono, è inutile cercare alibi: è la volontà di coltivarle che manca. Il livello medio dei film italiani non è così basso: nei paesi europei, molto più attivi nei nostri, si producono certo alcuni bellissimi film che però non sono che le punte di diamante di un panorama non sempre omogeneo. Quest'anno in Italia sono usciti pochi film ma molto diversi tra loro: siamo usciti dal tunnel del cosiddetto cinema "due camere e cucina". Ma sono in pochi a puntare sulle nuove forze assumendosi dei rischi; sono pochi, insomma, ad avere il coraggio di sbagliare.


 

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