“Iron Man 3”, di Shane Black

Iron Man 3
L’eroe della Marvel continua a essere un personaggio troppo sicuro di sé e “istituzionale” per far immergere la sua materia nell’Apocalisse. Eppure al terzo episodio finalmente la saga riesce a dire qualcosa di interessante sulla dialettica corpo/macchina. Stark comincia a essere stanco e il personaggio, almeno stavolta, sfiora un conflitto interiore

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Iron Man 3Al terzo episodio la regia di Iron Man passa di mano. Non più  Jon Favreau, autore dei due  fortunatissimi (e sopravvalutati) predecessori, ma Shane Black, regista di Kiss Kiss Bang Bang e sceneggiatore collaudatissimo negli action movie (Arma letale, L’ultimo Boy Scout, Spy). E che ci sia un cambio di rotta è rintracciabile da subito, con un prologo in Svizzera “molto narrativo” e la voce fuori campo di Stark a dare un vago senso di ineluttabilità alla nuova avventura di Iron Man. Intendiamoci, niente di trascendentale. L’eroe della Marvel sul grande schermo continua a soffrire di una meccanicità di superficie che gli impedisce di assurgere all’imponente tragicità di un Batman o alla sublime duplicità umanistica di Spider-Man (parliamo di Raimi ovviamente). Eppure la mano del nuovo regista – impegnato anche in fase di sceneggiatura – si fa notare, soprattutto grazie a una maggiore complessità teorica e psicologica. Come il Batman di Nolan e il Bond di Craig, anche per Iron man il terzo episodio corrisponde a un graduale declino fisico del personaggio. Stark è stanco. Dopo la missione newyorkese degli Avengers sembra non essere più lo stesso: ha gli attacchi di panico, soffre di insonnia e persino la sua perizia tecnologica inizia a fare cilecca. Il suo esilio nella fortezza-laboratorio mette a repentaglio persino la sua relazione amorosa con Pepper, finchè la minaccia di un terrorista misterioso, denominato Mandarino, minaccia il suo futuro e quello della nazione.

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Shane Black studia più di una trovata dal Cavaliere Oscuro di Nolan. Una filiazione che in parte viene denunciata già dall’utilizzo, non scontato, come villain di un corpo nolaniano per eccellenza: il Guy Pierce di Memento. In particolare sembra attingere da quel modello  l’inclinazione per una riflessione metaforica sui mezzi di comunicazione e la crisi internazionale del mondo contemporaneo. Lo fa senza troppe sfumature ma anzi con il calco sottolineato di chi vuol (far finta di?) dire delle cose sull’oggi attraverso un prodotto di intrattenimento. Fin troppo evidenti, per esempio, le affinità iconografiche e le ambiguità spettacolari tra il Mandarino interpretato da Ben Kingsley e Bin Laden. In realtà Iron Man continua a essere un personaggio troppo sicuro di sé e “istituzionale” per far immergere la sua materia nell’apocalisse. Eppure alla terza occasione la saga riesce finalmente a dire qualcosa di interessante sulla dialettica corpo/macchina. Iron Man senza le sue armature e le sue invenzioni non ce la fa. Denuncia definitivamente la sua dipendenza tecnologica. E quando la sua armatura si rompe sembra davvero perdere il controllo e sfiorare un conflitto. Così nella sua incapacità a esistere senza protesi diventa quello che sarebbe potuto essere sin dall’inizio e non è stato: il malato connubio tra carne e metallo di un tossicomane.

 

Titolo originale: Id.
Regia: Shane Black

Intepreti: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Guy Pearce, Don Cheadle, Rebecca Hall, Paul Bettany, Ben Kingsley, Jon Favreau, William Sadler

Origine: USA, 2013

Distribuzione: Walt Disney Pictures

Durata: 109'

 

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