Jonathan Demme: l’umanità in Primo Piano

Tra gli infiniti modi di entrare in una filmografia vasta e “libera” come poche altri registi della sua generazione, ne ho scelto uno. Il primo piano. Il cuore del cinema per Jonathan Demme.

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“L’aspetto umano della storia deve sempre prevalere”. J. D.

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Il cinema di Jonathan Demme sarà sempre alla ricerca dell’umano oltre l’immagine. Sarà sempre un perenne concerto, un atto di reinvenzione collettiva, dove la vita si imporrà ancora e ancora (seguendo l’immortale insegnamento cormaniano) sui tempi e i sui movimenti delle storie e delle sceneggiature. E allora tra gli infiniti modi di entrare in una filmografia vasta e “libera” come pochi altri registi della sua generazione, ne ho scelto uno in particolare. Il primo piano. Perché nel movimento perenne della macchina da presa e nel montaggio che fa dialogare classico e (post)moderno – sulla retta Hawks/Truffaut/Penn, da gran “regista cinefilo” come amava definirsi – ci sono sempre in Demme delle improvvise epifanie visive che spezzano il flusso. Singoli momenti significanti che condensano grumi passionali risplendendo di luce propria: l’inquadratura si apre al paesaggio del volto umano in un coagulo di significa(n)ti e affetti che rimangono tatuati nella mente dello spettatore ben al di là delle storie così abilmente raccontate. Ed è bello, allora, ricordare Jonathan Demme proprio con quelle immagini che “fanno prevalere l’aspetto umano” su tutto il resto. Mi vengono in mente cinque esempi in particolare, cinque primi (o primissimi) piani di una umanità traboccante…

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Il segno degli Hannan (1979)

Il segno degli Hannan

Straordinario e lunghissimo primo piano di Roy Scheider/Harry Hannan che ricorda la morte dell’amata moglie nel passato e si appresta a ri-vivere quella “vertigine” con la femme fatale del presente. Tra Alfred Hitchcock e Arthur Penn, tra il classico intrigo internazionale e i moderni bersagli di notte, Demme pedina i movimenti sentimentali del suo protagonista come ultima mappa percorribile per il cinema di quegli anni.

 

Qualcosa di travolgente (1986)

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TravolgenteCommedia, road movie, noir, thriller, horror… e ritorno. Un’epocale altalena di umori e passioni cinefile che di-segna nei primi piani di Jeff Daniels e Melanie Griffith le varie tappe di questo travolgente viaggio nel cinema americano. Uno dei film centrali per comprendere appieno la Hollywood degli anni ’80.

 

Il silenzio degli innocenti (1991)

Il silenzio1Il silenzio2Che dire ancora su questa sequenza? Confinata nei primi e primissimi piani di due attori in stato di grazia che parlano (guarda caso) delle dinamiche del desiderio e delle vertigini dello sguardo come centri propulsori di ogni azione umana. Le inquadrature sono sempre più ravvicinate, “oltrepassando” la gabbia metallica che divide Hannibal e Clarice, quindi suturando le loro soggettive al nostro punto di vista di spettatori. Una sequenza anticipata da un fugace dialogo rivelatore tra Clarice e un poliziotto della scorta: “è vero quello che dicono? Che è una specie di vampiro?” … “non ci sono parole per quello che è”. Appunto: questi primissimi piani configurano pienamente le potenze del cinema come dispositivo-vampiro capace di sondare i desideri perturbanti inesprimibili a parole.

 

Philadelphia (1993)

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Philadelphia2Forse il film di Demme dove il primo piano viene portato a mediazione estetica per eccellenza. Le inquadrature dei volti fagocitano e originano ogni tensione etica, seminando attimi di verità sentimentale dove regna il non detto e/o l’ipocrisia (lo studio legale, la biblioteca, il processo, ecc). Gli insistiti primissimi piani stabiliscono le regole umane e immaginarie di una storia dalla granitica “costruzione narrativa”, trovando nei volti di Jason Robards, Denzel Washington e soprattutto Tom Hanks una incondizionata adesione del film al percorso emotivo dei personaggi e alla lotta per i diritti civili che incarnano.

 

Rachel sta per sposarsi (2008)

RachelRachel2C’è qualcosa di insondabile nella famiglia Buchman. La morte accidentale del piccolo Ethan sepolta nel passato e la freddezza glaciale della madre Abby; la dolce scontrosità della figlia maggiore Rachel e il sorriso doloroso del padre Paul… e poi c’è Kym. Ex tossicodipendente uscita dalla comunità per raggiungere la sorella nel giorno del matrimonio, collettore senza filtri di dolori e passioni in una famiglia che rimuove ogni trauma per sopravvivere. I primi piani di Anne Hathaway arrivano a spezzare il flusso caotico delle inquadrature (da Home-movie familiare) aprendo il film alla sublime fear of falling di ogni spettatore cinematografico. Kym è cinema che ci (ri)guarda svelando il semplice segreto di uno dei più grandi registi americani di sempre: l’aspetto umano della storia deve sempre prevalere.

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