“L’ultimo dominatore dell’aria”, di M. Night Shyamalan

the last airbender l'ultimo dominatore dell'aria
Qui tutto è narrazione e tutti narrano. Il non visibile rimane fuori dal ‘cinema’, proprio perché definitivamente oltre ogni sguardo. Viene recuperato solo attraverso il racconto. Perché solo la parola, il suono, l’oralità e la scrittura sopperiscono ai limiti del visibile nel (ri)conoscere la Storia e il mondo. Ricostituiscono i legami. Anche perché presuppongono l’altro che ascolta e superano il solipsismo della visione, l’individualismo precario del punto di vista
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l'ultimo dominatore dell'ariaCi risiamo. Ancora una volta ci troveremo ad affrontare il luogo comune della fine di Shyamalan, regista ormai condannato al declino irreversibile, incapace di ridare linfa al proprio cinema e di ricreare quell’atmosfere inquiete, misteriose e sorprendenti dei suoi film migliori, quell’universo inconoscibile eppure riconoscibilissimo. E’ una storia che si ripete, almeno da Lady in the Water in poi. E, naturalmente, non farà eccezione questa folle scommessa de L’ultimo dominatore dell’aria, primo atto di una trilogia tratta dalla serie animata Avatar – La leggenda di Aang, creata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko. Ma basterebbe poco così per fugare ogni dubbio, per spazzare via tanta incomprensibile delusione. Perché film dopo film, ancor più oggi, emerge con tutta evidenza una verità fondamentale. Il cinema di Shyamalan vuole, da sempre, rispondere a un unico pressante interrogativo. Come vincere la paura? Come affrontare l’invadenza della morte e del nulla, il terrore dell’invisibile? In questa prospettiva, Lady in the Water e il magnifico E venne il giorno divengono tappe decisive e necessarie in quella ricerca della salvezza che si nasconde oltre l’orizzonte oscuro dell’esistenza. E L’ultimo dominatore dell’aria non fa eccezione. E’ momento necessario di riepilogo e svolta, pur nel suo evidente squilibrio finto ‘tridimensionale’. Anzi, tanto più necessario, quanto più squilibrato, tutto dalla parte del cuore, come Signs e Lady in the Water. E già la storia, nei suoi echi mistico-religiosi, sta lì a dimostrarlo.
Il piccolo Aang è l’Avatar, cioè l’ultima reincarnazione del dominatore supremo, capace di controllare il potere dei quattro gli elementi e di garantire la pace delle nazioni nel rispetto degli spiriti che reggono il mondo. Il problema è che, tempo prima, il bambino, spaventato dal peso insostenibile della responsabilità, ha scelto la fuga, scomparendo per oltre cent’anni e lasciando il pianeta in balia degli sconsiderati propositi di dominio della nazione del fuoco, restia a sottomettersi al potere degli spiriti. L’unico baluardo di resistenza è il lontano regno dell’acqua nord. Ed è proprio da qui che occorre ripartire per ristabilire l’equilibrio violato del mondo
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l'ultimo dominatore dell'ariaShyamalan si trova ad adattare le coordinate del proprio universo a un mondo narrativo già codificato. Ma vince la prima scommessa. Perché riesce a trasformare la saga in un affare tremendamente personale, in cui rilanciare le proprie ossessioni. E il punto di partenza è proprio Lady in the Water, film di narratologia applicata, parto campbelliano popolato da figure, simboli e archetipi, storia sulle storie, sulle modalità in cui si offrono e raccontano la vita, seguendone lo sviluppo, come qualsiasi altro organismo dotato di respiro. Finché si racconteranno storie il mondo non crollerà, obiettava Parnassus al diavolo tentatore. Le storie costituiscono l’architrave del mondo, ne formano la struttura ossea che permette di reggerne il senso, al pari degli esseri viventi. Qui ne L’ultimo dominatore dell’aria, racconto intriso di figure e archetipi, tutto è narrazione e tutti narrano. Sin dal principio, con quell’incipit che assomiglia a una favola, a un racconto per bambini, ma che è l’atto necessario di creazione, il soffio vitale che dà inizio al mondo. E così anche dopo, ogni volta che il non visibile preme sulle paure di uno sguardo imperfetto, è il racconto che interviene. Perché il punto è proprio questo. Se il cinema di Shyamalan è sempre puntato sul non visibile, o meglio sul confine, sulla linea che separa il qui dall’aldilà, il conoscibile dall’ignoto, l’avvenimento dall’avvenire, questa tensione perenne qui non si traduce in un lavoro sui limiti della visione, come in E venne il giorno, il più radicale dei film di Shyamalan, immenso discorso metafisico costruito interamente sulle figure base della grammatica filmica, campo, fuoricampo, controcampo. Qui il non visibile rimane fuori dal ‘cinema’, proprio perché definitivamente oltre ogni sguardo. Viene recuperato solo attraverso il racconto. Non a caso L’ultimo l'ultimo dominatore dell'ariadominatore dell’aria è un film di buchi, quelli lasciati scoperti dalle cesure brutali, quasi maldestre del montaggio, che salta da un punto all’altro della storia, curandosi poco dell’esigenze di raccordo. A riempire queste voragini rimane solo la narrazione: la voce fuoricampo e le parole dei protagonisti. Solo la parola, il suono, l’oralità e la scrittura (quella delle pergamene che resituiscono i saperi antichi) sopperiscono ai limiti del visibile nel (ri)conoscere la Storia e il mondo. Ricostituiscono i legami. Anche perché presuppongono l’altro che ascolta e superano il solipsismo della visione, l’individualismo precario del punto di vista. In questo lavoro di ‘condivisione’ che è il narrare, si ricrea quella comunione necessaria a superare le paure dell’individuo ‘non vedente’. Il condominio di Lady in the Water, la trinità, sacra famiglia di E venne il giorno, il dono d’amore di Ivy per Lucius in The Village. La principessa del regno dell’acqua del nord decide di rischiare il tutto per tutto pur di riportare in vita lo spirito della luna e afferma “L’amore richiede sacrificio”. Non fa che replicare il gesto di Ivy: chiudere gli occhi, almeno per un istante, di fronte al terrore del fuoricampo, per donarsi agli altri, al controcampo. Come si vince la paura? Shyamalan ci prova. Affidandosi, con la stessa naturalità dei bambini, che ricevono vita e ridonano movimento, si abbandonano alla forma delle cose e accettano la verità del cambiamento, con animo fermo. Una risposta ancora precaria, forse. Ma pur sempre una risposta.
 
Titolo originale: The Last Airbender
Regia: M. Night Shyamalan
Interpreti: Noah Ringer, Nicola Peltz, Dev Patel, Jackson Rathbone, Jessica Andres
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 103’
Origine: USA, 2010
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    8 commenti

    • grande recensione, Dio benedica questo scrittore di cinema!

    • harry dean stanton

      nolan è dell'inter, shyamalan è della roma…

    • Sottoscrivo, l'articolo e il commento di harry dean stanton.

    • Se Nolan piange, Shyamalan non ride. Ha fatto bei film ma questo non ha neanche l'umiltà di essere un film su commissione. Meglio Moonacre. E ho detto tutto!

    • Solo Sentieri Selvaggi poteva riuscire nell'impresa di legittimare un filmetto così. Shyamalan ha dei grossi, enormi problemi con lo script per la grossa produzione, qua compie degli errori da "matematica" del kolossal imperdonabili, anche se le situazioni sono originali e divertenti, il film è molto infantile. Nolan non piange caro Andrea, lo sai per quale motivo? Te lo dico subito: perché Nolan ha fatto 770 milioni al box office. Nolan se la ride a crepa pelle, perché per le major di Hollywood lui è un investimento più che sicuro, non ha mai girato un flop commericale. Adesso Nolan ha la possibilità di fare quello che vuole, la sua qualità registica viene premiata al box office, sia che si tratti di un franchise, sia che si tratti di un film personale. Nolan è un regista freddo, che non viene ancora accettato da certa critica italiana. Ma cosa accetta la critica italiana?

    • Questo film è imbarazzante. Indifendibile, sotto quasi tutti i punti di vista. Non so esattamente quale fosse il target, ma il risultato è rigorosamente da bambini (piccoli).

    • "rigorosamente da bambini" è una magnifica definizione del Cinema migliore. grazie GigiSan 🙂

    • Andrew Davenport

      Bravo! Sono perfettamente d'accordo con te!