La legge della notte, di Ben Affleck

Nonostante tutti gli squilibri, La legge della notte ha il coraggio e l’incoscienza di essere fuori legge. Come in un tardo Huston, come in Ray, il cinema che ha già fatto storia, deve farsi unico

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L’ascesa e la parabola di Joe Coughlin, che dopo aver combattutto nell’inferno della prima guerra mondiale, decide di diventare un fuorilegge negli anni cupi del proibizionismo.

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A fronte della precisa e lucida consapevolezza teorica di Argo o dell’asciuttezza tragica di The Town, La legge della notte è un film completamente squilibrato. Sembra quasi andare alla deriva per inerzia, lungo le mille correnti, gli umori alterni, i temi e i risvolti di una storia che procede per accumulo di situazioni e personaggi. Le suggestioni del gangster movie che piegano nella tragica inafferrabilità del noir, la caduta di un paese che scopre tutte le frizioni tra le sue aspirazioni ideali e la realtà della sua anima contraddittoria. E poi l’ossessione per la paternità, la trasmissione, l’eredità, che dialoga continuamente con la follia inspiegabile della passione amorosa. Il privato come un’utopia di felicità contro il caos della guerra e della violenza, la famiglia da difendere a ogni costo… C’è davvero tanto, oltre l’arroganza di confrontarsi con l’immaginario di genere a partire dai suoi riferimenti più liberi e ribelli. E poi c’è questa sensazione sfiancante di un romanzesco letterario che si ripercuote, prima ancora che nello stereotipo dei “caratteri”, nella pretesa declamatoria dei dialoghi, sempre pronti afferrare una qualche verità. Forse il limite è già in partenza, nella scelta di adattare l’omonimo romanzo di Dennis Lehane, che tra l’altro è produttore esecutivo. Ma un racconto di Lehane era già alla base di Gone Baby Gone, senza che lì si avvertisse il peso della pagina scritta. Qui, invece, Affleck sembra alla continua ricerca della frase decisiva e dell’immagine piena, capace di condensare in maniera definitiva l’urgenza dell’espressione e l’emozione dirompente. Il film, sotto questa pressione, si distorce e si avvolge su se stesso, infilandosi in mille impasse, da cui riesce a tirarsi fuori a fatica, solo alzando sempre più la posta in gioco e le implicazioni sentimentali, morali e politiche dei suoi plot e subplot.

 

LIVE BY NIGHTEppure, eppure… nonostante tutti gli squilibri, La legge della notte ha il coraggio e l’incoscienza di essere al di fuori di ogni “contemporaneità” e ogni regola di mercato, come se l’essere fuori legge, esattamente come Joe Coughlin, fosse l’unica risposta possibile alla mercificazione e alla piatta muscolarità ipertecnologica del cinema di oggi. In questo senso, Affleck non sembra essere molto distante da Gray (e The Lost City of Z. è un altro film che fa letteratura…), anche se è un fuorilegge non ancora bandito. E perciò la sua scelta suicida di allontanarsi dalle mode e dalle pose da supereroe (per quanto oscuro possa essere Batman), piegando la Warner e il povero DiCaprio alla sua visione,  è un atto di commovente consapevolezza morale, che aggiunge l’ingratitudine alla protervia. È strano come tutti e due i film mi facciano venire in mente l’immagine dell’anziano John Huston: sarà, magari, per quanto riguarda Affleck l’origine irlandese, sarà, comunque, quel dover tener fede a un’altra radice… L’immagine, cioè, di un cinema che è stato grande, ha già fatto storia, ma ora non può che farsi unico, solitario e abissale: un cinema in cui l’infinita sapienza delle tecniche e delle forme si è scomposta nelle verità del vissuto, che erompono in superficie come illuminazioni, epifanie improvvise e misteriose. Ecco, il cinema è sempre un’altra cosa, custodisce i suoi segreti ai margini della “civiltà”, del visibile a ogni costo, dell’inquadratura addomesticata e dell’abitudine che si è fatta norma. E così, se The Lost City of Z., per segreti motivi, mi riporta a The Dead, qui siamo dalle parti di Wise Blood. Che si mescola al Nicolas Ray de La donna del bandito (e già il titolo originale, Live by Night, a stento nasconde l’omaggio), per perdersi poi nelle paludi di Wind Across the Everglades. Del resto, non poteva essere altrimenti. Perché ciò che Affleck  racconta, dall’inizio alla fine, è una scelta di resistenza e martirio, una disperata lotta per conservare l’innocenza in un mondo che sconta, giorno per giorno, il suo peccato originale, il suo essere sorto su innesti ibridi e semi impuri, già dopo Babele e la dispersione delle lingue e delle razze. Già votato al mito del conflitto e alla legge del più forte, appena mascherati dalla somma crudeltà e indifferenza del denaro. Quello stesso denaro che produce il film, non ammettendo la possibilità del fallimento…

 

libe by night2La legge della notte parla di un’altra frontiera, a Sud, in quella Florida che già assomiglia a L’Havana di Pollack o alla Miami (Vice) di De Palma e Mann… Viaggia della Boston irlandese e mangiaspaghetti all’America ispanica, nera e meticcia, con l’occhio aperto sui mostri dell’Hollywood Babilonia. Parla di predicazioni oscure e santità impossibili, di una corruzione inevitabile, di paure invincibili e della follia quotidiana, parla di radici recise e sangue versato sulle fondamenta della nazione. Affleck scopre così un’affinità con Paul Thomas Anderson, ma ne libera le ossessioni gelide e martellanti in un’idea di cinema a cuore aperto. Che ribolle, a dispetto della sua recitazione sempre più dimessa. E che testimonia la fede in una purezza residua, in un sogno che magari è fuori campo, è la lontana proiezione del desiderio, ma che pur esiste ancora. Il fratello di Joe, che non vedremo mai, ce l’ha fatta, è altrove. Forse in un cinema che è scomparso o che magari è ancora da girare.

Quando dice che “il paradiso è qui”, Ben Affleck parla di questo mondo o del film? Avrebbe torto in ogni caso. Avrebbe ragione in ogni caso.

 

Titolo originale: Live by Night

Regia: Ben Affleck

Interpreti: Ben Affleck, Elle Fanning, Zoe Saldana, Sienna Miller, Brendan Gleeson, Chris Cooper, Remo Girone, Chris Messina

Origine: USA, 2016

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Durata: 128’

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