La memoria degli ultimi – Incontro con Samuele Rossi, Ermenegildo Bugni e Stefano Mutolo

la memoria degli ultimi

Oggi, 25 marzo, esattamente ad un mese di distanza dall’anniversario della Liberazione d’Italia, il regista accompagnato dall’ “ex” partigiano Ermenegildo Bugni e Stefano Mutolo (Berta Film distribuzione) hanno presentato alla stampa, presso la Casa del Cinema di Roma, il documentario in concorso al Bif&st dover verrà proiettato in anteprima nazionale l’8 di aprile.

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la memoria degli ultimiDopo l’opera prima La strada verso casa, presentato nel 2010 in anteprima mondiale al New York City International Film Festival, il giovane regista Samuele Rossi firma il documentario La memoria degli ultimi, raccogliendo in sei mesi di ricerca “su strada” le testimonianze di uomini e donne protagonisti della Resistenza, che hanno combattuto in nome della Libertà per la Liberazione del territorio italiano dall’oppressione nazi-fascista.

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La ricerca

Samuele Rossi: Vorrei innanzitutto che emergesse il lavoro, il progetto che abbiamo costruito con Echivisivi (società di produzione cinematografica fondata dallo stesso regista) e Berta Film distribuzione, rischiando da soli e sfruttando le nostre competenze professionali per realizzare questo film. Abbiamo un’idea precisa di cosa è il cinema: uno scambio di idee, che deve essere alla base. All’inizio della ricerca ho raccolto circa sessanta testimonianze in tutta Italia, era un grande affresco che andava in qualche modo rimodellato. Ho scelto queste sette persone (Massimo Rendina, Laura Francesca Wronowska, Germano Pacelli, Giorgio Mori, Ermenegildo Bugni, Umberto Lorenzoni e Giorgio Vecchiani) perché raccontassero in modo sintetico e allo stesso tempo ampio quel preciso momento storico. Sono persone con estrazioni sociali e provenienza geografica molto diverse: Gildo prende le armi a soli sedici anni, Laura, ex aristocratica, è una donna dalla forte moralità, dalla forte tempra che rappresenta un universo femminile combattivo,in lotta per la sua dignità. Quello che volevo da loro è che parlassero di quell’umanità di cui fanno parte, uomini e donne che hanno assunto la responsabilità di una scelta. Per poter parlare di questo era senz’altro necessario il dato storico, che infatti non manca, ma ciò che più mi premeva emergesse nella sua naturalità è l’affresco umano, i racconti di vita, il diritto negato di vivere un’adolescenza e una giovinezza in modo sereno. In questa umanità possiamo ritrovarci.

 

 

Il titolo

Samuele Rossi: Il titolo La memoria degli ultimi è stato molto combattuto, ha suscitato diverse reazioni negative ma la verità è che loro rappresentano l’ultimo atto di questa testimonianza e nonostante questo sono relegati ai margini del nostro presente. Ho vissuto sulla mia pelle la sconvolgente marginalità dei valori che rappresentano. E’ una memoria ultima portata da persone che hanno vissuto quell’esperienza e che in un paese normale, e questo lo posso dire, verrebbero ascoltate. Ciò è sintomo e causa di un paese evidentemente lacerato e questo documentario vuole valorizzare la necessità della condivisione.

 

 

La produzione

Samuele Rossi: Abbiamo portato avanti una produzione che non lascia da sola la distribuzione. Ero e sono dell’idea che la classica uscita in sala non avrebbe fatto bene al documentario, sarebbe rimasto ai margini, soprattutto in questo periodo storico. Per questo la scelta dell’anteprima nazionale al Bif&st l’8 aprile, il tour de La memoria degli ultimi che seguirà idealmente il tragitto della Liberazione partendo dal Sud per arrivare a Milano, l’uscita in DVD del documentario il 15 aprile.la memoria degli ultimi


 

Cosa diventa più difficile col tempo nel suo ruolo da “ultimo” testimone?

Ermenegildo Bugni: E’ un sentimento che procura dolore. Vedere un paese in cui non esiste etica morale, in cui non esiste vergogna, non esistono più i valori per i quali abbiamo combattuto e che sono scritti sulla nostra Costituzione significa che non siamo riusciti a costruire quella società solidale, in cui “il sociale” rappresenta un diritto, è una grossa sconfitta. Cosa hanno insegnato a noi i Commissari lì sulle montagne? A noi dicevano: “Guardate, per ottenere i vostri diritti, bisogna prima che dimostriate di essere degni di questi diritti, attraverso il rispetto dei vostri doveri”. E’ una sfumatura. Abbiamo sopportato qualsiasi cosa e non è questa la società che volevamo. Quando sento parlare certi signori, quando sento parlare di revisionismo esce fuori tutta quella melma che ho cercato di contrastare anche attraverso il mio libro (Le attese tradite) e attraverso delle risposte sui giornali, lettere inviate ai giornalisti che non sono mai state accolte, pubblicate. Io volevo contestare il falso con delle prove alla mano. Mettetevi nei miei panni: cosa può provare un individuo che non può difendersi perché non gli viene concesso lo spazio e il modo per farlo?

 

 

In quella gioventù della quale lei fa parte, che cosa vi rendeva uniti? Quali esperienze?

Ermenegildo Bugni: Io sono nato in una famiglia in cui mi sono ritrovato fin dalla tenera età di fronte alla violenza, con energumeni che cercavano mio padre (antifascista della prima ora) entrando in casa e buttando tutto all’aria, sotto gli occhi terrorizzati di mia madre. Io non capivo e poi sono cresciuto in quelle brutture, arrivando a quasi 9 anni per vedere mio padre torturato dai fascisti perché durante i festeggiamenti della conquista dell’Impero Abissino, si lasciò prendere dall’ira e disse: «inutile festeggiare, nessuno si rende conto dove ci condurrà quel pazzo che ci governa». Mi commuovo ancora a ripensarci; nonostante la mia veneranda età, quelle brutalità sono ancora vive. Arrivato a 15 anni, dopo il trasferimento forzato dall’Aquila a Bologna, non ero più un adolescente ma un uomo, mentalmente mi sentivo di avere 22, 23 anni. Quando è arrivato l’armistizio non ho avuto difficoltà a prendere quella scelta: ritenevo e capivo che era utile dare una mano agli Alleati perché quel regime fosse sconfitto per sempre. Ci sono stati ragazzi che non hanno mai fatto ritorno a casa, per fare i mercenari dei tedeschi, perché quello sono stati. E altri che sono sopravvissuti anche grazie all’aiuto delle donne, senza di loro la Resistenza non sarebbe durata.


 

Com’è nato il progetto che accompagna l’iter del film, ed in particolare il Tour della Memoria?

Stefano Mutolo: Siamo stati trascinati dalla tenacia e dall’entusiasmo di Samuele e abbiamo creato un progetto molto intenso e sentito, perfettamente in linea con il disegno culturale che è alla base de La memoria degli ultimi: tenere in vita questa memoria e condividerla. Partendo dalla provocazione del film in cui si vedono giovani completamente ignari del significato di Resistenza e Liberazione, abbiamo tralasciato un percorso a step per concentrare tutto in un solo momento, nella data del 25 aprile, e lasciare spazio, attenzione al dibattito.

Samuele Rossi: La campagna #nonperderelamemoria, oltre che richiamare l’opera, vuole permettere all’Italia di ritrovare le proprie radici, procedendo su due binari paralleli: attraverso delle date mirate per la distribuzione e la condivisione con le scuole, e attraverso il programma di #nonperderelamemoria, nato per lasciar raccontare a tutti coloro che lo vorranno le loro storie ed esperienze, valorizzando e arricchendo la memoria collettiva. Grazie al supporto di AGIS Scuola incontreremo studenti di varie città d’Italia, compresa Roma, probabilmente verso la fine di aprile.

 

la memoria degli ultimi

Come hai selezionato queste sette persone protagoniste del tuo documentario? Si sono mai incontrate tra di loro?

Samuele Rossi: E’ stato l’istinto a guidare la mia scelta ma anche uno studio approfondito sulle loro diversità sociali, culturali e le loro diverse provenienze geografiche. Mi sembra rappresentino quel profilo umano di quel preciso momento storico che non era poi così univoco come si crede. Purtroppo non si sono incontrati per vari motivi legati anche alla salute ma è interessante notare che nella loro diversità si rintracciano atteggiamenti e approcci molto simili.

 

 

Come mai vi siete interessati in particolare a questa tematica? Questa sensibilità nasce in famiglia, dall’educazione o dal percorso di vita?

Samuele Rossi: Non so se si tratta dell’educazione o del percorso personale ma so che sprofondare nelle vite, entrare in contatto con l’emotività è affascinante, mi emoziona ed è importante per l’arricchimento della nostra memoria. Poi come cittadino italiano mi sento profondamente deluso e amareggiato per quello che stiamo vivendo. Ora è il momento storicamente giusto per richiamare l’attenzione su questo tema: poter raccontare il significato della memoria davanti ad un paese lacerato, che non restituisce ciò che noi diamo. E' importante.

Stefano Mutolo: Sento la necessità, oggi più che mai, di guardare alla generazione dei miei nonni, ascoltarla per fare in modo che quei valori possano tornare.

Ermenegildo Bugni: Guardando Samuele mi sono subito reso conto di avere di fronte un ragazzo sensibile verso la storia del nostro paese e ho subito voluto collaborare con lui. E’ ai giovani che mi rivolgo perché sono loro che devono portare a compimento i valori riportati nella nostra Costituzione. E’ nella democrazia, nel confronto pacifico, nella libertà di parola e di pensiero che si risolvono le cose. Le offese, la violenza non servono. Dobbiamo costruire un’Europa unita perché quando c’è stata divisione sono scoppiate due guerre. Dobbiamo proteggere l’unità, la comprensione dei popoli europei, non abbiamo bisogno di divisioni.

Samuele Rossi: Vorrei concludere dicendo  che il disegno nella locandina è opera Germano Pecelli, uno dei protagonisti del film. Mi ha raccontato che in quell’abbraccio si racchiude il significato della fine della guerra.

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