La morale e l’orrore: APOCALYPSE NOW REDUXdi Francis Ford Coppola

I film non vanno fatti, ma "rifatti", diceva Irving Thalberg, e questa natura di corpi mutanti dei film, di materia viva in continua trasformazione ci avvince, perché li rende ancora più terribilmente simili a noi

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D’accordo le operazioni di ricostruzione dei “vecchi” film, ripresentati al pubblico nelle nuove versioni, nei “Director’s cut” originalmente pensati, spesso lasciano perplessi, sia per la natura evidentemente commerciale dell’operazione stessa (dopotutto questo è, anche, il cinema) e sia perché spesso come spettatori ci affezioniamo ai film come fossero persone, e non ci piace più di tanto vederli “mutare”, trasformare in “altro”. Allo stesso tempo però il cinema è un’opera d’arte dannatamente moderna, cioè modificabile, mai chiusa in se stessa e definitiva. Ecco forse l’aspetto che ci piace di meno è proprio la puntualizzazione del fatto che la versione che stiamo per vedere è quella “definitiva”…i film non vanno fatti, ma “rifatti”, diceva quel grande produttore che era Irving Thalberg, immortalato da Robert De Niro ne Gli ultimi fuochi di Kazan, e questa natura di corpi mutanti dei film, di materia viva in continua trasformazione ci avvince, perché li rende ancora più terribilmente simili a noi, che nel corso degli anni ci trasformiamo più o meno lentamente.
Fatta questa breve digressione sulle operazioni di restayling dei film, va però detto che "Apocalypse Now Redux" sfugge un po’ a queste considerazioni, essendo un prodotto talmente complesso e sofisticato, ricco e articolato, e soprattutto essendo frutto di un lavoro a suo tempo – per necessità politiche e produttive – “censurato” dai suoi stessi autori. Sembra curioso parlare di autori al plurale per un film viscerale e così intensamente vissuto dal suo “padre padrone” Francis Ford Coppola, ma va ricordato che "Apocalypse Now" nasce dalla mente geniale e dalla penna coraggiosa di John Milius, che alla fine degli anni Sessanta raccontò a Coppola l’idea del film. “John raccontava storie incredibili dei suoi molti amici surfisti che erano ritornati dal Vietnam (Milius è il regista di "Un mercoledì da leoni", per chi lo avesse dimenticato… ndr.) e di ciò che succedeva lì – racconta Coppola – Milius voleva scrivere una sceneggiatura su questo argomento chiamandola alternativamente “Il soldato psichedelico” e “Apocalypse Now.”. Quando Coppola mise su la sua Zoetrepe finanziò l’amico Milius per scrivere il film che poi divenne di sua proprietà. Ma Coppola non pensava neppure di girarlo, anzi si rivolse prima a George Lucas (che disse no perché era impegnato con la trilogia di "Guerre stellari") e poi allo stesso Milius, anch’egli però già impegnato su un altro film. Alla fine giocoforza gli toccò girare personalmente quel film, che poi divenne un personalissimo viaggio all’inferno, con una realizzazione che durò tantissimo, guai vari sul set e costi che lievitarono all’inverosimile.
Aneddoti e storie varie a parte la nuova versione di Apocalypse Now presenta circa 50 minuti in più dell’originale del’79, che effettivamente contribuiscono a ridisegnare un po’ l’intera ossatura della storia. Il viaggio alla ricerca di Kurtz da parte di Willard, sia per la lunghezza che per i diversi accadimenti presentati, diviene sempre più un percorso/incubo, e quando alla fine Kurtz/Brando parlerà dell’Orrore, lo spettatore saprà bene di cosa sta parlando. Pezzi di film sono aggiunti qua e là, con scene che contribuiscono a comprendere meglio il rapporto tra Willard e i ragazzi del battello (il furto della tavola da surf del colonnello Kilgore/Duvall, ad esempio), ma soprattutto il reinserimento nella storia di due grossi frammenti completamente eliminati 22 anni fa: la scena nella piantagione dei francesi e il secondo incontro con le conigliette di Playboy. Proprio perché entrambe sono segnate dalla presenza femminile e da un erotismo assolutamente in contrasto con l’orrore mostrato, queste scene danno un segno “nuovo” alla materia narrata da Milius e Coppola. La scena dei francesi aiuta meglio a comprendere anche il “non senso” della presenza americana in Vietnam (“Noi siamo qui per difendere ciò che ci appartiene “ dirà a Willard il francese, “ma voi americani lottate per il più grosso NIENTE della storia”), mentre il secondo incontro con le ragazze Playboy, rimaste a terra nel fango della giungla senza benzina, con il conseguente scambio di favori (sesso in cambio di carburante) tra le ragazze e l’equipaggio del battello, costituisce un accumulo allucinatorio che ci porta dritto dritto nel “mondo nuovo” di Kurtz. E anche Brando ha maggior spazio, nella scena in cui recita al suo prigioniero Willard brani dei giornali americani in cui si svela l’ipocrisia che governava l’intera operazione-Vietnam. Questo aiuta meglio a comprendere sempre più il conradiano rifiuto della menzogna di Kurtz (“Odio il tanfo della menzogna”).
Insomma un altro film, un’esperienza fisica unica e assoluta, quasi tre ore e mezza di un incubo visivo straordinario e irripetibile, un qualcosa che segna lo sguardo e il corpo dello spettatore. Qualcosa da mostrare, in silenzio, ogni volta che qualcuno, con sincerità o ipocrisia, ci parla ancora di una “guerra giusta”.
La guerra è sempre ingiusta. E profondamente immorale. Come scrisse meravigliosamente Milius nello script: “Insegnano ai ragazzi a sparare alla gente ma non gli lasciano scrivere “fuck” sugli aeroplani”. La guerra è sempre il trionfo dell’ipocrisia.
APOCALYPSE NOW REDUX
di Francis Ford Coppola

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