La ragazza delle balene, di Niki Caro

Si nota subito come alla regista Niki Caro prema solo riprendere le coste neozelandesi nel modo più seducente possibile, fraintendendo le fascinazioni generate da “Lezioni di piano”.

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Il cinema come non-luogo ha saputo funzionare da diffusore universale di sguardi su terre che l’occhio non conosceva o voleva sempre più vicine e familiari. Dalle varie “vedute” dei pionieri d’inizio secolo al realismo della meraviglia digitale che ricrea uomini e materie. Ad ambienti e popoli spesso solo evocati, fantasmi alieni  capaci di sedimentarsi in un immaginario esotico puntellato da strutture forti. L’opera seconda di Niki Caro si rivela come corriva storicamente all’internazionalismo da cartolina illustrata. Si nota subito come alla regista prema solo riprendere le coste neozelandesi nel modo più seducente possibile, fraintendendo le fascinazioni generate da “Lezioni di piano”. “Nulla avrà avuto luogo se non il luogo” (Mallarmè). Memoria e desiderio (Memory & Desire del ’98, precedente escursione morbosa nell’irrealtà paesaggistica) restano imprigionati sprecando l’occasione di un conflitto vitale tra cultura e pregiudizio. Conflitto dato da una storia dolcissima che il razzismo formale del film svuota proprio nella figura umana, resa come portato risibile di una divulgazione geografica, cristallizzata nel tempo e spaesata come le balene arenate sulla spiaggia in una sequenza stimolante (anche grazie alla musica di Lisa Gerrard, ex Dead can dance, che almeno non aggiunge suggestioni preordinate) ma spuria in quanto raro momento di liberazione nel mistero di un ricordo ancestrale forse mai vissuto ma quanto mai necessario. La leggenda di Paikea, (“colei che viaggia sul dorso della balena”) fondatrice della civiltà Maori, diviene così un fardello enorme sia per Pai, la bambina erede al titolo di Capo ma inibita da una tradizione maschilista, sia per Koro, il leader spirituale della comunità nonché nonno di Pai, accecato da dogmi travisati che non lo aiutano a riconoscere nella nipote quelle qualità straordinarie che possano guidare le sue genti. L’impressione è che, nonostante l’amore coltivato, richiesto e represso, le “cavalcate” sacrificali, gli strappi e i riconoscimenti, resti la presenza opprimente di un passato doloroso di cui non ci si riesce completamente a disfare. La simbologia del quotidiano world che pervade il film, ambiziosa e umile insieme, forse non aiuta a seguire la crescita interrelazionale dei personaggi. Sicuramente non sono piatte operazioni “glocal” come queste a poter svolgere un ruolo da antidoto ad una presunta colonizzazione della cultura cinematografica mondiale.    

Titolo originale: Whale rider
Regia: Niki Caro
Sceneggiatura: Niki Caro dall’omonimo romanzo di Witi Ihimaera (

Fotografia: Leon Narbey
Montaggio: David Couison

Musiche: Lisa Gerrard

Scenografie: Grant Narbey
Costumi: Kirsty Cameron
Interpreti: Keisha Castle-Hughes (Pai), Rawiri Paratene (Koro), Vicky Naughton (Nanny Flowers), Cliff Curtis (Porourangi), Grant Roa (zio Rawiri), Mana Taumaunu (Hemi), Rachel House (Shilo), Taungaroa Emile (Willie)
Produzione: Tim Sanders, John Barnett e Frank Hubner per South Pacific Pictures, Apollo Media e Pandora Film
Distribuzione: Bim
Durata: 104′
Origine: Nuova Zelanda/Germania, 2002

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