"La seconda volta"

da Cineforum, n.350, dicembre 1995

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

C’è una curiosa tenerezza, soprattutto nella prima parte di questa ‘opera prima’ di Mimmo Calopresti. Curiosa perché ambigua, magari falsa, eppure… eppure è come se dietro ci fosse qualcosa, che il film non spiega e forse, dopo, nega. Alberto prima incontra Lisa casualmente, poi la pedina, e la sua esistenza è sempre più ossessionata da questa donna. Che invece non ricorda, non lo riconosce. Ha dimenticato, vuole dimenticare. E scambia la sua ‘vittima’ di dodici anni prima per uno strano e un po’ invadente corteggiatore. Ma questo ‘finto’ corteggiamento di Alberto, per un attimo, sembra vero. Ma non per il comportamento di Alberto verso Lisa. Ma per il suo comportamento da solo. In casa, seduto in poltrona, Alberto aspetta con ansia la telefonata di Lisa, come un innamorato in attesa. Le manda dei fiori in ufficio, insomma è gentile con lei. Scoprire dopo, e anche bruscamente (la scena del bar, quando lui le ‘sputa’ addosso la ‘verità’ del loro nuovo incontro) che Alberto in realtà sta ‘recitando’ una parte, una messa in scena par un lento gioco al massacro, al gioco appunto della vittima/carnefice, ebbene lascia un po’ stupiti, perplessi. Quasi che Calopresti abbia voluto rovesciare i ruoli, o meglio ridisegnarli da capo. Perché Alberto è così falso? Perché la ossessiona con la sua presenza? Perché si ‘finge’ qualcun/qualcos’altro? E’ un dubbio che nessuno ha avuto dalla visione del film. Tutti persi dietro le dichiarazioni rese da Moretti in conferenza stampa (e nelle interviste) in cui denunciava la povertà e la mostruosità del terrorismo. E invece qui il film lascia intravedere un personaggio di Alberto che si trova a ricoprire un ruolo crudele, di colui che finge il corteggiamento (la finzione sui sentimenti! la peggiore delle bestemmie morali) e invece insegue un intento persecutorio. Chi é il mostro? La ragazza che ‘una vita’ prima lo aveva quasi assassinato “per educarne cento” e che ora tenta di rimuovere il passato e di condurre una vita – per quanto possibile – normale? O il professore, che gira con una pallottola nella testa da dodici anni e non riuscendo a darsi una spiegazione di quel gesto, decide di ossessionare con sua presenza la ‘memoria’ di Lisa? Forse entrambi. Forse nessuno dei due.

--------------------------------------------------------------
THE OTHER SIDE OF GENIUS. IL CINEMA DI ORSON WELLES – LA MONOGRAFIA

--------------------------------------------------------------
Perché uno dei pregi maggiori di questo bell’esordio cinematografico, è proprio nell’ambiguità della storia, e soprattutto dei personaggi. Non si é cercato l’effetto, il taglio netto, la banalizzazione dei protagonisti, delle storie, la loro riduzione a ‘icona’, a luogo simbolico, su cui riflettere. Al contrario quella di Alberto e Lisa é una storia, è la loro storia, piccola, infinitesimale storia di due persone vissute, in un momento particolare delle loro vite, su due lati diversi delle ‘barricate’. Una convinta di essere in guerra, l’altro, del tutto ignaro di cosa e perché stesse accadendo. Perché La seconda volta è soprattutto una storia di persone, di due persone legate fortissimamente da qualcosa di molto forte: sono entrambe delle vittime della (loro) storia. Ma Calopresti non cerca di spiegare, anzi come i migliori narratori di oggi opera per sottrazione, tra le righe, tra gli sguardi, tra i dialoghi volutamente e necessariamente superficiali. E realizza, con la complicità di un Moretti ispirato come attore e attento come produttore, un film del tutto ‘intimo’, un piccolo, intenso racconto morale.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

UNA STORIA, DUE FILM

Ma sembra ancora impossibile, nell’Italia di metà anni novanta, affrontare questi temi con lucidità e sentimento, con passione e disincanto. La politica prende il sopravvento. Ed ecco che i giornali si riempiono di titoli, sulle dichiarazioni rese da Moretti alla stampa. Che cosa ha detto di ‘scandaloso’ Moretti? Ha detto che i terroristi erano degli assassini che dicevano e scrivevano un mucchio di idiozie. E che, anche i dissociati, una volta usciti dal carcere, avrebbero fatto bene ad avere una maggiore discrezione. Cioè una dichiarazione morale. Il silenzio dei colpevoli, come intitolava il Manifesto. Cosa è accaduto? Che queste dichiarazioni hanno scatenato una serie di reazioni incontrollate. Interviste a terroristi, in carcere e no, Franceschini che si sente messo a tacere, come se qualcuno (Moretti) volesse che i terroristi tacessero per sempre. Altri, persino in conferenza stampa, che si sono imbarcati in una sorta di difesa ‘romantica’ del terrorismo… insomma, un bel dibattito triste… Che Moretti l’abbia fatto per ottenere i titoloni sui giornali? Da produttore del film (cioè chi mette i soldi) avrebbe fatto bene. Meno bene hanno fatto i giornali stessi a non leggere nelle frasi di Nanni il tono polemico che da sempre caratterizza la sua personalità. Però il dibattito sul terrorismo c’è stato, ed è clamoroso in un paese che ha già felicemente rimosso il problema (basti pensare ai vari “ma chi vuoi che gliene freghi più niente del terrorismo” ricevuti da Calopresti dai produttori a cui proponeva la sua storia).
Curiosamente, in un paese dove la ‘rivoluzione’ la fa la destra riscrivendo la storia e convincendo il paese che è la sinistra che ha governato l’Italia negli ultimi trent’anni…, ne viene fuori un panorama alquanto anomalo: l’uomo di sinistra (Moretti) appare come l’inquisitore, colui che accusa il terrorismo, e invece giornalisti e intellettuali piuttosto salottieri che inneggiano alla sincerità di quegli uomini e donne, apparendo quindi come dei liberali ultratolleranti.
Personalmente non condivido il tono con cui Nanni ha parlato dei terroristi, ma i fatti da lui raccontati sono innegabili. Come è innegabile che proprio la generazione dei ragazzi degli anni settanta è stata la principale vittima della lotta armata. Migliaia di ragazzi e ragazze, e Moretti e Calopresti sono due di questi, che hanno creduto e combattuto per dei valori importanti, che si son ritrovati scaraventati in un epoca – gli anni di piombo – in cui era impossibile schierarsi, in cui ogni scelta appariva sbagliata, perdente. Credo che il terrorismo abbia tolto molta felicità a quella generazione, e chi ha partecipato anche solo una volta ad una manifestazione del 1977 sa di cosa parlo. E forse il ‘rancore’ di Nanni è anche giusto: questi ci hanno tolto la possibilità di sperare, di cambiare la nostra vita, di avere una società migliore. Ci hanno catapultato in un mondo di orrori, di violenza e di uccisioni, di repressioni e di illibertà. Ci hanno impedito di continuare a sognare. E’ un atto di accusa questo di Moretti? Si, ma chiunque ha visto ‘da vicino’ come si muovevano “i compagni che sbagliano”, i loro arrivi di nascosto alle assemblee, la loro presenza armata e organizzata nelle manifestazioni, dove poi gli inconsapevoli ne rimanevano vittime, ecco chi ha visto queste cose sa di che parlo, e, solo, può capire. Gli altri sono solo vittime della storia, che viene sempre raccontata da chi vince le guerre. Anche se oggi, gli sconfitti di allora, parlano e scrivono libri. Ma la massa di giovani che si trovò schiacciata in mezzo, non ha più alcuna voce, se non forse quella di questi ‘splendidi quarantenni’ che ci hanno regalato uno dei più intensi e sinceri film della stagione.
Ma al film ‘della stampa’ preferiamo, comunque, il film ‘dello schermo’.
Quel film così aperto, eppure tutto costruito sull’assoluta mancanza di aperture dei/fra i personaggi. Lisa ed Alberto, in maniera diversa, reagiscono alla vicenda rinchiudendosi in se stessi. Lisa, nella sua vita quotidiana fatta di carcere, autobus e ufficio; Alberto nella sua ossessione per la memoria, perché lei non dimentichi quello che ha fatto. Alberto porta gli anni di piombo dentro la testa (il riferimento è al professor Sergio Lenci, quasi ammazzato dai terroristi di Prima Linea quel 2 maggio del 1980), ‘fisicamente’ dentro, per quella pallottola che, per paura o chissà cosa, non vuole levare chirurgicamente da dentro di se. “Scusi tanto”, racconta Sergio Lenci “mi ha detto solo questa frase Giulia Borelli (una del commando che lo colpì), quando andai nel carcere di Bergamo per parlarle. Tremava, era confusa. Balbettò in fretta Scusi tanto, come se mi avesse pestato un piede..”.
Il problema del linguaggio è uno dei punti nodali del film. Entrambi si muovono in una realtà in cui non sono più così importanti, entrambi sono prigionieri dei loro mondi. Alberto legge e rilegge i libri scritti dagli ex terroristi ed è colpito, ossessionato, disgustato dal loro linguaggio, di ieri e di oggi. All’afasia di allora, che si esprimeva in lunghi e deliranti comunicati e con l’uso delle armi, Lisa replica oggi con il silenzio, con la rimozione della parola, della comunicazione verbale. Le parole mancano, il linguaggio è insufficiente. Quelli che allora non parlavano nelle assemblee, parlavano nelle strade a suon di pallottole, esibendo un’incapacità di esprimersi attraverso linguaggi socialmente accettabili. Quelli che parlavano ne son divenute vittime. Se non i capri espiatori, come la vicenda Sofri insegna. Per Alberto la parola è invece tutto. Perché la usa nel suo lavoro di professore universitario, perché è attraverso la parola che cerca di ‘riconquistare’ l’attenzione di Lisa. Perché alla fine cos’è che vuole Alberto da Lisa? Non vuole perdonare, vuole solo che lei non dimentichi, ma soprattutto vuole essere considerato da lei come una persona, non come un simbolo. E viceversa. C’è un momento, bellissimo, nel film, in cui alla stazione Alberto le svela la finzione. Lei gli sfugge, si alza e va via. Lui la rincorre sulle banchine e per la prima volta la chiama: “Lisa!”. Come ha detto Calopresti, qui Alberto finalmente la riconosce come essere umano.
E’ questa la cifra stilistica fondamentale del film: costruire una storia su piccoli elementi, non sulla metafora di qualcos’altro, abbattendo l’ordine simbolico, lavorando fermamente sull’umanità dei personaggi. In un film di continui rimandi, rinvii, attimi che si perdono e si rincorrono. L’incontro, il dialogo ‘vero’ tra i due è continuamente evocato e rinviato, e quando avviene è vuoto, povero, banale. Quello che hanno da dirsi su quegli anni è un mucchio di frasi fatte. Che fanno rimpiangere gli attimi di tenerezza della ‘finzione’ precedente, quella del ‘corteggiamento’.
Il finale è necessariamente aperto. Il tentativo di un rapporto tra i due viene frustrato. Non c’è, oggi, speranza di una vera comunicazione. Forse bisognerebbe andare oltre quell’esperienza, forse bisognerebbe capire, e ricordare. Il film lascia spiragli aperti per tutte le possibilità.

Regia: Mimmo Calopresti
Soggetto e sceneggiatura: Heidrun Schleef, Francesco Bruni, Mimmo Calopresti
Fotografia: Alessandro Pesci
Musica: Franco Piersanti
Montaggio: Claudio Cormio
Costumi: Lina Nerli Taviani
Scenografia: Giuseppe Gaudino
Suono in presa diretta: Alessandro Zanon
Interpreti: Nanni Moretti (Alberto), Valeria Bruni Tedeschi (Lisa), Valeria Milillo (Francesca), Roberto De Francesco (Enrico), Marina Confalone (Adele), Simona Caramelli (Sonia), Francesca Antonelli (Antonella), Paolo De Vita (Giudice Di Biagio), Antonio Petrocelli (Ronchi), Rossana Mortara (studentessa), Orsetta Dè Rossi (Raffaella), Nello Mascia (Medico)
Produzione: Nanni Moretti e Angelo Barbagallo
Coproduzione: Sacher Film, Banfilm, La Sept Cinema con la collaborazione di Rai Uno e Canal Plus
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 80’
Origine: Italia, 1995

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array