"La speranza è nel film stesso, nella sequenza finale che vede Licu e Fancy pattinare insieme, sotto un cielo che si riempie di fuochi d'artificio". Incontro con Vittorio Moroni

Dopo 2 anni e 6 mesi di riprese ed un lungo processo di post produzione, “Le ferie di Licu” è pronto ad uscire in sala. Il regista ce ne parla entusiasta in occasione dell'ufficiale presentazione romana

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Dopo il successo ottenuto con "Tu devi essere il lupo" ha avuto contatti con la distribuzione ufficiale o no?

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V.M. Sono stati 3 i distributori a cui ho pensato che il mio documentario potesse interessare: Lucky Red, Bim e Tandem. Rimanevano le prime due, dopo che Moretti si è tirato indietro per mancanza di tempo. Lucky Red ha visionato il film. Le è piaciuto, ma era sfiduciata sul fatto che i documentari potessero andare bene a cinema. C'è un problema di fondo in effetti, un errore alla base, nel far coincidere le aspettative per grossi film a quelle per piccoli film. La Bim invece era entusiasta e aveva tutte le intenzioni di distribuire la mia opera. Poi sono passati dei mesi, si sono succedute alterne vicende interne alla casa di distribuzione e alla fine lo spazio per "Le ferie di Licu" non c'era più.


 


Qual è stato il percorso distributivo del film allora?


V.M. "Tu devi essere il lupo" era stato un esperimento. Avevamo avuto problemi a distribuire noi stessi il film. Nessuno infatti può distribuire un film finanziato dalla stato, se non ne ha già distribuito un altro. Per questo ci siamo appoggiati alla Pablo di Gianluca Arcopinto, ottenendo anche che il film uscisse nei Blockbuster. Dietro "Le ferie di Licu" c'è una vera e propria società di produzione e distribuzione, grazie alla quale abbiamo potuto gestire ogni aspetto del film, oltre che assegnare delle quote a tutti coloro che ci hanno lavorato. L'appoggio di Rai Cinema in fase di post-produzione è stato un grosso vantaggio per noi, seppure sia mancata la loro partecipazione alla distribuzione. Hanno solo acquisito i cosiddetti diritti di antenna, per trasmettere la pellicola 2 anni dopo il passaggio in sala. All' Hotdocs di Toronto il film non è passato inosservato, tanto che speriamo in una possibile distribuzione internazionale.


Alla nostra associazione culturale Myself sono arrivati i contributi di molte persone che hanno creduto nel film e che ne hanno in questo modo acquisito un pezzetto, sostenendolo allo stesso tempo. Anche i proventi derivati dalla prevendita dei biglietti hanno fatto la loro parte.


Dopo l'estate, da luglio a dicembre, saremo in giro per l'Italia con il Licotour, per accompagnare la pellicola dovunque venga proiettata, attraverso i piccoli circuiti dei festival di piccola e media importanza, dove si sa, il pubblico ha davvero sete di questo genere di film.


 


Qual è stato il percorso fatto con i "protagonisti" di questo film? Sembra quasi che la camera non ci sia…


V.M. La genesi del progetto è stata molto curiosa. Inizialmente tentavo di scrivere una sceneggiatura da un soggetto che avevo per le mani quindi non avevo intenzione di girare un documentario. I due personaggi contenuti nel soggetto però, si ribellavano contro di me, facendomi capire che evidentemente non li conoscevo bene. Perciò era necessario avviare un lavoro di ricerca, iniziato con la raccolta di "appunti visivi". Ho cominciato a conoscere delle persone, a farmi invitare a cena da loro e ho capito che il materiale di cui avevo bisogno era lì, sotto i miei occhi. Mi interessava il conflitto che c'era tra la voglia di diventare romani ed un grosso orgoglio per la propria tradizione. Quando ho conosciuto Licu ho trovato il personaggio che incarnava perfettamente, in modo spettacolare ed ostentato, queste contraddizioni. Aveva un'attenzione maniacale nel vestirsi con camicie griffate, parlava in romanesco e si diceva tifoso di Totti. Allo stesso tempo, quando parlava dei suoi genitori e della sua religione, lo faceva con enorme rispetto. In un primo momento erano gli aspetti economici ad essere in risalto (faceva due lavori ed era sottopagato), tanto che credevo che avrei girato solo una mezz'ora.

Anche il rapporto che Licu aveva con Giulia era interessante e pensavo che lui ne fosse innamorato, o che comunque avesse intenzione di sposarsi con un'italiana. Quando è arrivata la busta con le foto di Fancy, sono rimasto sorpreso dalla facilità con cui Licu ha accettato di sposarsi, ma ero curioso e volevo seguirlo. Il villaggio in cui viveva Licu non aveva un forte happeal economico per la famiglia di Fancy, per la quale il matrimonio significava soprattutto guadagno. Il fatto però, che Licu vivesse in Italia e che avesse casa e lavoro al di fuori del Bangladesh rappresentava per loro un motivo di interessamento. La nostra presenza lì perciò, era una sorta di garanzia, il simbolo della vita che Licu conduceva da noi.


 


Rispetto a come finisce il film la situazione è cambiata? Non credi che il tuo sguardo si connoti di pessimismo sulle modalità d'integrazione?


V.M. Dopo il film molte cose sono già cambiate. Sono speranzoso nei confronti del loro futuro, nonostante ammetta l'esistenza di ostacoli legati alla costruzione dell'identità, dei quali solo il tempo potrà decidere. La speranza è nel film stesso, nella sequenza finale che li vede pattinare insieme sotto un cielo che si riempie di fuochi d'artificio.


 


Quante ore sono state girate e quali accorgimenti sono stati rispettati durante le riprese?


V.M. In tutto abbiamo girato 123 ore, di cui 75 completamente in bengalese, in parte inserite nel film grazie al lavoro di preselezione e traduzione a cui si sono dedicate 4 persone. Mi ero imposto il divieto assoluto di utilizzare interviste e voci fuori campo. Ho dovuto perciò fare i conti con dei buchi nella narrazione, risolti poi attraverso la ricostruzione e la messa in scena di sequenze realmente accadute, ma non filmate al momento. Ho cercato di assumere un atteggiamento non giudicante, ma non volevo fare finta di non esserci. Volevo che i miei sentimenti riuscissero a trasparire, mentre ero combattuto tra il senso di rispetto e la voglia di capire. Teoricamente mi sarei dovuto fermare al primo giorno dopo il matrimonio, ma poi abbiamo finito col girare per un anno intero.


 


Non ti sembra di aver fatto un lavoro di fiction piuttosto che un documentario? Quali sono poi le scene recitate?


V.M. Non sono bravo a distinguere le due cose. Secondo me si fa sempre della finzione, è sempre il mio lo sguardo che si posa su quello che accade. Non voglio rivelare quali siano le scene recitate e quali no, perché mi interessa troppo l'opinione che ha il pubblico su questo argomento. L'ultima parte è stata quella più difficile da girare, perché Licu era geloso e non volevo che noi passassimo troppo tempo da soli con Fancy. Arrivava a chiamarla fino a 10 volte al giorno e alcune di quelle telefonate le abbiamo inserite nel prodotto finale. A volte, come in questi casi, il film apre la finestra su sé stesso, su come è stato girato.


 


Quale sarà il prossimo lavoro?


V.M. Vorrei fare un film che non sia un documentario, nonostante questo sia stato per me un progetto di libertà assoluta.




 


 


 


 


 


 


 

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