La Spia – A Most Wanted Man, di Anton Corbijn

la spia a most wanted manOttavo romanzo di John Le Carré trasposto al cinema. Action thriller politico con l’ultima interpretazione da protagonista sul grande schermo di Philip Seymour Hoffman. Il regista danese cerca la propria strada autoriale, realizzando un film di genere, troppo di genere per la verità, fondamentalmente di mestiere, privo di derive esistenziali e strutturali, capaci di farci perdere nel vortice della narrazione, della suspense 

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Ottavo romanzo di John Le Carré trasposto al cinema. Action thriller politico con l’ultima interpretazione da protagonista sul grande schermo di Philip Seymour Hoffman. Tra Amburgo e Berlino, un misterioso ragazzo ceceno (Grygoriy Dobrygin) è in fuga alla ricerca di una cassetta depositata in banca, prima di morire, dal padre militare russo, detestato e odiato dal figlio, perché macchiatosi di atroci crimini di guerra nella guerra in Cecenia. Un avvocatessa idealista (Rachel McAdams) lo aiuta nella ricerca del banchiere (Willem Dafoe) al quale è stata affidata la misteriosa eredità, ma il capo di un’unità segreta di spionaggio tedesca (P.S. Hoffman) è sulle tracce del sospetto terrorista. Dal regista di Control e The American, lo spionaggio e la solitudine sono certamente i due punti di partenza dai quali si sviluppa il film. Dal mondo creativo dei videoclip e dalla fotografia soprattutto (Amburgo e Berlino sono spesso racchiuse in tagli architettonici e urbanistici di pregevole fattura), Corbijn cerca la propria strada autoriale, realizzando un film di genere, troppo di genere per la verità, fondamentalmente di mestiere, privo di derive esistenziali e strutturali, capaci di farci perdere nel vortice della narrazione, della suspense. Gli aspetti più interessanti, che in qualche modo, sporadicamente, contrastano la tentazione di normalizzare con l’accademia la storia, sono legati all’assenza di un reale antagonista, alla sensazione di muoversi verso un muro di gomma, verso cui sembra sempre meno evidente riconoscere la spia del titolo. Troppo poco.

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Catturare il momento è l’ossessione del regista, ma la storia fatta esclusivamente di momenti, resta inerme dinanzi al movimento, alle vibrazioni che vorremmo scorressero per tutto il corpo. Si potrebbe parlare di uno sguardo diverso sul genere? È possibile riconoscere uno stile europeo? Amburgo, uno dei porti più imponenti del continente, resta in verità sullo sfondo, senza guadagnare mai la scena attraverso quel look autunnale, fatto di cromatismi cupi sulla contemporaneità liquida. John Le Carré non conoscerebbe momenti di ristagno. Pieno di azione e di colpi di scena, le sue storie procedono spedite, tenendo fino alla fine il lettore con il fiato sospeso, incollato alla sedia. Molto probabilmente e ciò che pensano gli estimatori dello scrittore, ma non si può dire certo la stessa cosa del film, troppo attento a non uscire dai binari della convenzionalità. Ma se vogliamo dirla tutta, forse non è neanche un grande romanzo, almeno non il migliore scritto dall’autore britannico. Manca anche sulle pagine un colpo d'ala finale, il colpo di scena che non ci si aspetta. Le acque torbide della prima inquadratura, che cominciano a ondeggiare per un battello di passaggio, lasciavano presagire un’immersione senza ritorno, scalando la piramide della malvagità: dal pesce piccolo, passando per il barracuda,fino a giungere allo squalo. Anton Corbijn si ferma forse al barracuda e non riesce ad andare oltre. Dicevamo dello sguardo europeo sul genere… il regista danese avrebbe girato all’europea?  

 

Se è vero che, come dice Dostoevskij “l’uomo oltre a volere la felicità, ha un uguale, identico bisogno anche della sventura”, allora il thriller, oltre ogni coordinata geografica e regole stilistiche, diviene occasione d’insegnamento morale: per dare uno sguardo all’aspetto misconosciuto ed autodistruttivo della nostra anima; per misurarci con la sofferenza e con l’idea intollerabile dell’essere destinati un giorno, e non per fiction, a venir meno. Così l’unico sussulto, prima di venire meno, è quell’istante convulsivo, nel finale, che pervade il corpo abbondante di Philip Seymour Hoffman, per poi esplodere in un“fuck”, grido di dolore o di paura, di redfordiana memoria, ansimando come Clint Eastwood di Debito di sangue, prima dell’infarto, durante un inseguimento a piedi, per poi perdere la parola, risalendo in macchina e coprire pochi chilometri, lasciare l’auto e continuare nuovamente a piedi, uscendo lentamente dall’inquadratura. È una scena realizzata nell’autunno del 2012, periodo in cui il film è stato girato. È l’ultima di Philip Seymour Hoffman, probabilmente anche oltre fiction… unico sussulto che rende esplicita l’angoscia, paradossalmente finisce per esorcizzare la morte almeno per qualche anno ancora, proprio attraverso proposte di sue macabre figurazioni, tollerabili perché riferite non al presente, ma all’altrove dell’immaginario.           

Titolo originale: A Most Wanted Man
Regia: Anton Corbijn
Interpreti: Rachel McAdams, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright, Willem Dafoe, Daniel Bruehl, Nina Hoss, Martin Wuttke
Origine: Germania, UK, USA, 2014
Distribuzione: Notorious Pictures
Durata: 122'

 

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