LACENO D’ORO 2016 – SentieriSelvaggi incontra Amir Naderi

Abbiamo incontrato il cineasta iraniano-newyorkese al Laceno d’Oro di Avellino. In relazione a Monte, Naderi ha parlato del tema dell’ossessione e dell’aiuto ricevuto dai grandi registi del passato

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In occasione del Laceno d’Oro 2016, il premio Camillo Marino alla Carriera è stato consegnato al regista Amir Naderi, ospite d’onore di questa edizione del festival avellinese. Parlando dei suoi progetti futuri, il regista iraniano ha detto di averne già tre in mente: un film sulla Luna di cui parla da anni, una storia giapponese e il progetto di una storia cinese su invito di Marco Müller. Poi ha aggiunto riferendosi al suo ultimo film, Monte: “Ci sono ancora molte montagne da far crollare…

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Centrale in ogni film del regista è il tema dell’ossessione e della sfida, da Waiting, primo film “personale” del suo periodo iraniano (che ha aperto la strada alla sua poetica) passando per i film americani e quelli giapponesi fino ad arrivare a Monte, primo film italiano. “Ogni giorno mi chiedevo ce la farò? Monte non ha niente che sia stato girato in computer grafica, per me e anche per gli attori è stato molto faticoso, perché il senso del mio cinema è spingere me stesso e i miei personaggi sempre oltre il limite. La mia sfida personale era: io regista ce la farò a finire il film?
Per Monte il regista iraniano si è affidato all’aiuto dei grandi registi del cinema italiano del passato, di cui ha un’approfondita conoscenza e una grande passione.Io insegno cinema italiano e sono legatissimo anche alla vostra poesia, alla pittura, all’architettura, alla musica. Verdi, Caravaggio sono stati dei compagni durante la lavorazione del film ma anche prima, quando per 8 mesi come un eremita sono andato a vivere su un montagna. Per me era fondamentale conoscerla. Nel mio film non sono importanti i dialoghi, ma restituire l’atmosfera, le radici dell’Italia. Ogni sera dopo aver girato vedevo un pezzo di Francesco Giullare di Dio di Rossellini e de Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. Quest’ultimo l’ho incontrato in Iran quando girava Il fiore delle Mille e una notte, non ci ho parlato l’ho solo osservato ed è stato come vedere Dio. Pasolini è stato fondamentale per Monte.”

Grande amante del neorealismo, Naderi lo ha definito il cinema che ha liberato il linguaggio del documentario, smettendo di narrativizzare il reale e lasciando all’Italia dei veri e propri documenti storici. E come i film del neorealismo nascevano da un disagio storico, così i film di Naderi non nascono dalla libertà che a detta del regista è nociva per la creazione artistica:Tutti abbiamo le nostre maledizioni e i nostri odi che non sono impedimenti. Sono la base del creare, la spinta a spingersi sempre al di là. Devono essere la forza del film. Ho lasciato l’Iran per l’America non per motivi politici ma perché per fare il mio cinema avevo necessità di spingermi sempre oltre. Per me è fondamentale inserire l’esperienza personale nel film. Mi sono sempre sentito dire di cambiare il mio stile per avere più pubblico. Quella è stata la mia maledizione, a cui ho risposto facendo tutto da me nel miei film, montaggio, fotografia, suono.

E riferendosi al cinema di oggi il regista ha detto che è ancora troppo presto per giudicare, ma che in Iran c’è una grande generazione di registi cresciuti con la violenza dei regimi, che da questa violenza traggono la loro forza.

Poi ha concluso: “L’Italia e l’Iran hanno in comune la bellezza. Ma il cinema italiano ha venduto questa bellezza al turismo. Quello iraniano no, perché non ha turismo. Noi mostriamo semplicemente un palazzo toccato dal sole. Per quanto riguarda il cinema di oggi, io aspetto sempre il grandissimo film che deve arrivare, che in centinaia di film buoni sarà quello originale.

La versione integrale della nostra chiacchierata con Amir Naderi sarà disponibile sul prossimo numero di Sentieri Selvaggi Magazine

 

 

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