LACENO D’ORO 42 – Imma, di Pasquale Marino

Imma segue l’attrice Angela Di Ninni nella Capitale, alla ricerca di un piccolo posto nel mondo. Il film è la storia di un fallimento, tra sentimento di rivalsa e incontri, unico grande valore

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Imma Di Ninni vince nel 2007 il reality Un Due Tre Stalla. La fama la insegue per un anno e poco più, fa delle comparsate nei locali e piccole apparizioni in televisione, sparse qua e là. Un giorno ingaggia il giovane regista Pasquale Marino per uno showreel ma è smaniosa di creare e gli propone di girare un film. L’attrice e poetessa ha moltissime idee, provenienti dalla sua storia di vita che dopo il reality l’ha vista viaggiare in diversi Paesi del mondo, fra cui l’India, dove ha cercato senza trovarla realmente, una sua pace interiore. Imma, il lavoro di Pasquale Marino, è uno strano ibrido fra fiction e documentario, un film poco scritto, pensato lì per lì insieme agli sceneggiatori e attori nel film, Giordano De Luca e Alessandro Aniballi. Spaccato di vita dell’attrice televisiva ma anche storia di incontri, l’idea di girare il film è nata anche sulla base progetto dell’attrice mai portato a termine (la storia d’amore fra una donna e uno scultore che vive su una montagna). Imma diventa invece la ricerca di un posto in cui sostare, una tana dove trovare se stessi. L’attrice gira per casting televisivi e per piccoli teatri, chiede a una cartomante la conferma del proprio talento e si muove per la Capitale che si vede poco ma si avverte nella sua incosciente minacciosità. “Si i totali sono pochi perché non i trovavo lì per lì” racconta Pasquale Marino ad Avellino. “La maggior parte delle scene non sono scritte. Ad esempio quella in cui Giordano e Imma parlano in stazione è decisa lì per lì perché gli altri erano in ritardo. Ma anche se i totali sono pochi, Roma c’è molto ed è negli incontri con le persone che c’è valore, in una grande città come Roma”.

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Nel rapporto con Roma si avverte anche il contrasto, altro grande protagonista del film. L’attrice è segnata da una sorta di ostilità nei suoi confronti, nata dal pregiudizio per il suo passato nel reality, il cui format ritorna costantemente nei primi incontri con i personaggi che la circondano. Proprio perché ripresi sul momento, questi avvenimenti sono improvvisazioni che il regista definisce “sfruttamento del proprio repertorio” e che sono parte integranti dei reality che, da dizionario, “seguono le vicende di persone reali in situazioni vere e inconsuete, o pericolose”. Il mondo, Roma in particolare, sono quindi le location perfette. Solo con i due sceneggiatori, seppure nelle differenze culturali e intellettuali, scoppia l’amore, basato su un senso comune di fallimento che porta al riconoscimento. In realtà Imma è anche la  mia storia del momento che stavo vivendo quando ho girato quel film. Ho proiettato la mia vita e l’inefficacia dei miei tentativi lavorativi sulla vita di Imma”. Il film insegue l’attrice, ne sfrutta il bisogno di rivalsa per una storia più universale, dimenticandosi, in un gioco interessante, della sua protagonista stessa. Imma è il prodotto della rivalsa, lo racconta Pasquale Marino che rifiutato da molti produttori, ha seguito il suo bisogno di girare qualcosa. Imma anche persegue con tenacia la sua causa (al casting con Massimo Gaudioso rivendica il suo diritto a conoscere subito gli esiti del provino) ma appare anche come una donna indifesa e persa. “Se dovessimo trovare una fonte di ispirazione che ci ha portato a fare Imma, direi che Io la conoscevo bene di Pietrangeli e Anna di Grifi” spiega Alessandro Aniballi.

C’è un’ambiguità che aleggia sui cinquanta minuti che costituiscono Imma. Gli occhi dello spettatore potrebbero essere viziati da un pregiudizio nei confronti dell’attrice. Ci si domanda allora quanto programmaticamente il film giochi con questi contrasti di sentimento nei confronti della protagonista.
Imma scrive poesie da quando è piccola, e Giordano cita Benedetto Croce che disse che dopo i 18 anni solo due categorie di persone scrivono poesie: i poeti e i cretini. Ci sembra che la conclusione a questa ambiguità non può che essere: c’è davvero una reale differenza fra poeti e “cretini”?

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