Laurence Anyways e il desiderio di una donna…, di Xavier Dolan

Un materiale potenzialmente infiammabile rielaborato in maniera fallimentare in un film dove i i modelli cinematografici sembrano scovati, quasi per caso, in qualche bignamino Tumblr gay chic

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Douglas Sirk mi ha insegnato che non è possibile fare un film su una cosa, bensì solo con qualcosa: con la gente, con gli specchi, con il sangue, con tutte queste cose che rendono la vita degna di essere vissuta (R.W. Fassbinder)

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A quattro anni dalla presentazione in Un certain regard a Cannes, è arrivato ieri nelle sale italiane Laurence Anyways, terzo film di Xavier Dolan, girato nel 2012, una tardiva uscita à rebours, probabile conseguenza del crescente successo del canadese fra addetti ai lavori e frange cinefile per le quali “La storia del cinema inizia con Pulp Fiction quindi The Nice Guys è un capolavoro neorealista” (per citare lo splendido “Mulholland Drive” di Filippo Mazzarella nel numero 24/2016 di Film Tv).

Il film racconta, nell’arco di dieci anni, la metamorfosi di Laurence Alia (manca la “s” non a caso…), stimato professore e appassionato compagno di Fred (abbreviazione al maschile di Frédérique) che, dopo anni di femminilità repressa, decide di intraprendere un percorso di cambio di sesso pur continuando a desiderare la donna. Con questo materiale, potenzialmente infiammabile sull’altare del genere, Dolan rielabora, in maniera fallimentare, una personale concezione di melodramma, anabolizzando il “melos” e non lasciando allo spettatore il diritto di impregnare l’immaginazione, di nutrirla del fuori campo, limitandosi ad alzare, metaforicamente e non, il volume della messa in scena con il disperato bisogno di muscolarizzare un gesto registico che al massimo può avvicinarsi all’incessante ricerca manuale del giusto filtro Instagram.

suzanne clément laurence anywaysIn questo smisurato, estenuante pastiche, il canadese rielabora grossolanamente il bestiario femminile di Almodóvar, l’afosa estetica slow-motion dell’ultimo Wong Kar-wai, i sontuosi cromatismi di Douglas Sirk e le oscillazioni della macchina a mano godardiana, ma è nello spazio, nell’obbligato topos/teatro della messa in scena, che Dolan cala definitivamente la maschera. L’assenza totale di un qualsivoglia dinamismo fra le inquadrature, nonostante l’affannosa ricerca di punti di vista “mai visti”, la programmatica alternanza di primissimi piani e campi lunghi, la prossimità ai corpi in un’asfissiante 4/3 e le simmetrie immobili creano una struttura narrativa sterile e ipertrofica, che fallisce nel proposito di creare un’architettura visiva generale coerente, tradendo lo spazio dell’inquadratura, vittima/contenitore di ombelicali ossessioni di cattivo gusto. L’ambizione onnipotente dunque di reinventare una forma-cinema, amalgamando le suggestioni più disparate senza coglierne l’essenza, si riduce tristemente a una (presunta) istintività con il mezzo e a una palese incomprensione di modelli cinematografici che sembrano scovati, quasi per caso, in qualche bignamino Tumblr gay chic.

Titolo originale: id.

Regia: Xavier Dolan

Interpreti: Melvil Poupaud, Suzanne Clément, Nathalie Baye, Monia Chokri, Yves Jacques

Distribuzione: Movies Inspired

Durata: 159′

Origine: Francia/Canada 2012

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