"Le vite degli altri", di Florian Henckel von Donnersmarck

L'esordio di un giovane regista tedesco alle prese con la Storia di una città non più divisa ma ancora non unita, dove i suoi cittadini convivono silenziosamente con i fantasmi di un passato inquietante. Il risultato vale un Premio Oscar e poco altro.

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Chiunque si sia trovato a passeggiare per le moderne strade di Berlino e abbia prestato un minimo di attenzione alla "morfologia" cittadina sa quanto la ferita del Muro sia ancora ben visibile: nonostante tutti gli sforzi fatti quella cicatrice lunga 160 Km. ha segnato indelebilmente l'immaginario berlinese, e non solo.

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In questi ultimi anni è in atto un ripensamento storico di quel periodo e anche la cinematografia tedesca non sembra avulsa da questo fenomeno: dopo la fortunata operazione di Good Bye, Lenin!, che certo non sembrava aver le carte in regola per un ripensamento quanto piuttosto offriva uno specchio deformante attraverso cui guardare a ritroso, l'esordiente Florian Henckel von Donnersmarck ha provato forse più consapevolmente a rimettere in piedi il baraccone della RDT, evitando ogni singulto parodistico e immergendo la sua storia non all'oggi ma agli anni più bui della repressione comunista.


Il 1984 è l'anno scelto dal regista per raccontare la storia di due personaggi che stanno dalle parti opposte della barricata: uno è un drammaturgo dai pensieri liberali mentre l'altro è un grigio funzionario della Stasi, "lo scudo e la spada" del paranoico governo dell'Est. Echi orwelliani a parte, che sinceramente potevano esser risparmiati vista la "verità storica" sulla quale si basa il film, Le vite degli altri nel provare a "riflettere" sul rimosso dell'intera società tedesca si dimentica di "agire", cinematograficamente parlando. Nel passaggio dalla scrittura alla scena, dunque,  non sembra palesarsi nulla se non lo stanco didatticismo che muove tutto il film: non c'è nulla di vero nelle movenze di questi uomini alle prese con un passato più grande di loro e con cui non riescono proprio ad entrare in contatto, perché tutto resta in superficie e niente entra davvero nella profondità delle cose.


In questo, la parabola di Gerd Wiesler, "spione" professionista ed inflessibile al servizio della Stasi, è esemplificativa: il mutamento che lo porta ad abbandonare quella missione in cui sembrava essere l'unico a crederci davvero, è messa in scena con malcelato romanticismo, come se bastasse il richiamo della "cultura" a far risvegliare l'uomo che c'è in lui (bastano infatti un libricino di Brecht e quattro accordi buttati giù su un pianoforte a rendere sullo schermo questo cambiamento).


Ed il problema è proprio questo: Le vite degli altri sembra soffrire della sindrome della semplificazione che, per un'operazione che voglia dirsi storicamente fedele, è peccato assai grave (la vittoria dell'Oscar come miglior film straniero è senza dubbio la riprova che a Hollywood la Storia è un optional…). In quest'ottica, risulta giusta ma non certo salvifica la scelta di girare il film proprio negli ambienti originali: il palazzone di Normannenstrasse, "la tana del leone" Erich Mielke per trent'anni a capo della Stasi, con i suoi cunicoli oppressivi divenuti oggi sede di un poco frequentato museo, finisce anch'esso con l'essere inghiottito nell'approssimazione storica, sempre più lontano dalla veridicità.


Tirando le dovute conclusioni, Le vite degli altri sembra essere l'ennesima occasione persa per ripensare e ripensarsi, storicamente e cinematograficamente, da un paese che per guardare meglio il futuro ha distolto troppo presto lo sguardo dal proprio passato.


 


Titolo originale: Das Leben Der Anderen


Regia: Florian Henckel von Donnersmarck


Interpreti: Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme, Hans-Uwe Bauer, Ludwig Blochberger, Werner Daehn


Distribuzione: 01 Distribution


Durata: 137'


Origine: Germania, 2006

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