LETTE E… RIVISTE – Joaquin Phoenix e Casey Affleck: le nuove stelle nel firmamento dell'hip hop

joaquin phoenix e casey affleck
Un tranquillo pomeriggio a casa di Joaquin Phoenix. Una lunga chiacchierata sui temi di amicizia, arte e fiducia. Una profonda riflessione sullo star system, a tu per tu con gli autori del mockumentary che tanto ha fatto discutere, ben prima di rivelare se stesso come una gigantesca bufala. Di Matthew Bedard – da Flaunt Magazine

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Mesi fa mi trovavo sul pavimento del soggiorno di Joaquin Phoenix a rotolarmi insieme a uno dei suoi cuccioli, quando di getto iniziammo a parlare di I’m still here, all’epoca nel bel mezzo dei lavori. Il film di Casey Affleck segue il tentativo artistico di Phoenix di passare dalla recitazione all’hip hop: un viaggio turbolento ed esilarante, sotto il costante sguardo dei media. L’intervista che segue è il frutto di quella conversazione. Chiesi a Phoenix (ovviamente, del tutto ignaro che la sua risposta potesse divenire l’incipit di una futura intervista a lui e Affleck) qualcosa del tipo “Allora, Joaquin, come te la cavi col beatboaxing?” a cui rispose solo, “Oh, non c’è nulla del genere.”

 

MB: Dici sul serio? Dobbiamo aspettarci musica orchestrale?
JP: Aspetta e vedrai.

Ebbene, ci ha mentito. Ed è stato onesto. Facciamo un salto in avanti nel tempo, e arriviamo a un manipolo di eccellenze di Flaunt che guardano il film sul divano di Phoenix. Meraviglioso. Dolcemente e programmaticamente avverso in pratica a tutto ciò che è stato ipotizzato sulla sua composizione, non è né realtà né bufala. Ecco perché: nella miriade di ipotesi che sono circolate su Internet a proposito della natura del film, nonché sullo status del suo protagonista, virtualmente non esiste spazio per un completo azzardo. C’è odio, goliardia, dichiarazioni di fatica, ma anche eterno amore dei fan.
Ciò che la critica non dice è che questo paesaggio possa giocare un ruolo influente nel percorso di Phoenix, che il film possa raggiungere i reami di fiction e realtà. In effetti, verità e finzione sono del tutto mescolate in I’m still here, e il risultato, a tratti volgare, a tratti straziante, sempre divertente, è un intenso ritratto di arte contemporanea, con tanto di arco del personaggio, tendenze hollywoodiane, defecazione, amicizia messa alla prova e, infine, un’analisi delle aspettative che il pubblico scarica sulle spalle di coloro che scelgono, o sono scelti, dalla fama.
Intorno a un tavolo da picnic nel giardino di Phoenix, mentre il fotografo Michael Muller e la produttrice di I’m still here, nonché mia cara amica, Amanda Demme scattano foto, il sottoscritto, il capo-redattore di Flaunt Luis Barajas e i due principali artefici del film discutiamo di varie ed eventuali di questa avventura cinematografica.

MB: Bene. Tanto per cominciare, affrontiamo l’argomento fiducia.
JP: Casey lo detesta.
CA: Mettiamola così: non volevamo assolutamente fare un’intervista, ma volevamo fare qualcosa per la rivista. […]

 

JP: OK, iniziamo. Casey, perché vuoi farlo? [ride].
CA: … [non risponde]
LB: [MB] fa ottime domande.
MB: Direi di no. Qual è il vostro momento preferito?
CA: … [non risponde]
LB: A me piace la scena con te [JP] e le puttane!
JP: Naturalmente. Ciò che mi stupisce di più è il modo in cui Casey compone le cose, e quindi le giriamo. Per esempio, la scena di cui parli, le prostitute a New York, è stata girata in due notti, OK? Una notte ci siamo messi a cercarle su Internet, e l’altra notte abbiamo trovato gente che girasse concretamente quella scena. E le due scene sono accostate senza soluzione di continuità. Adoro questa cosa, adoro il fatto che Casey ha permeato il tutto di autenticità. Un sacco di espressioni di Sue [Patricola], che interpreta la mia agente, le sue reazioni da Letterman, erano davvero stupefacenti.

*Si riferisce a uno degli interventi più spudorati della storia della televisione, in cui Phoenix, sebbene fosse ospite di David Letterman, semplicemente “non era lì”.
I'm still here
MB: Cosa ci dite del contributo di Antony [Langdon]?
JP: Cosa vuoi sapere?
MB: Beh, è molto convincente. Si prende un sacco di batoste emotive nel ruolo del tuo assistente.
JP: Già, è stato davvero fantastico. Antony non ha molta esperienza come attore, ha fatto solo un paio di cose, ma credo che sia stato davvero convincente, a volte molto commovente.
CA: Ant era sempre disponibile a fare qualsiasi cosa gli chiedessi, e a ripeterla più e più volte all’infinito. Davvero una performance eccellente.


LB: Quando e come vi siete detti “OK, va bene, facciamo questo cazzo di film”?

JP: Non è che ci sia proprio stato un momento preciso… In realtà è avvenuto in modo molto naturale, in un certo senso. Non ricordo che ci siamo detti: “Bene, facciamo questo film”, e abbiamo iniziato. Abbiamo iniziato, poi ci siamo interrotti, e poi abbiamo ricominciato, e poi ci siamo fermati, e poi abbiamo ripreso di nuovo. E durante tutto il processo di lavorazione, io mollavo tutto, in genere un giorno sì e un giorno no, e prendevo Casey a male parole, e lo buttavo fuori di casa, poi lui tornava da me e mi convinceva a ricominciare. Le cose sono andate così.
MB: Pensi che avresti potuto farlo con qualcun altro?
JP: No.
LB: E il tuo personaggio, l’hai creato a priori, o è stato il film a dargli forma?
JP: Uhm, no… Non mi capita mai di partire con delle idee iniziali su un personaggio che alla fine arrivano intatte in un film. Parti da un concetto, e inizi a lavorarci sopra… Ho dato un’occhiata a dei vecchi appunti e mi sono detto: “Che cazzo stavo pensando quando ho scritto ‘sta roba?”. Quindi non credo che ci sia nulla di pregresso. È stata una vera evoluzione.
CA: Joaquin aveva in mente il personaggio. È così che è iniziata. Non importa se il personaggio che interpreti sarà come l’hai concepito inizialmente; come ha spiegato Joaquin, questo anzi avviene raramente. Ciò che importa è avere un’idea abbastanza forte da mettere radici, ed essa crescerà. Joaquin ha fantastiche idee che spesso non hanno seguito perché non ci crede abbastanza. Ma quella l’ha condivisa e abbiamo deciso di svilupparla. È nata come una cosa profondamente diversa da ciò che abbiamo finito per fare, ma ovviamente, come la visione del personaggio, anche la visione di un film cambia sensibilmente.

MB: E la massiccia presenza dei media? Cosa vi passava per la testa a sentire tutto quello che la gente diceva del vostro lavoro?
CA: È stata un’operazione caotica e indistinta. E quando si iniziava a vederci chiaro… aggiungevamo caos e confusione di proposito. Ma a cosa ti riferisci esattamente?
MB: Beh, le opinioni che la gente esprimeva sul web durante i lavori… vi hanno in qualche modo influenzato?
CA: I commenti su Internet? Dunque… facciamo un passo indietro. Questo film è stato pianificato con largo anticipo, ne abbiamo discusso parecchio, e quasi tutti i personaggi sapevano cosa stava accadendo. Sapevano che Joaquin usava il suo nome, ma si comportava in una maniera a lui del tutto inusuale. Le sue scelte, il modo in cui le metteva in pratica, erano tutte profondamente meditate e quindi messe in scena, grazie a capacità attoriali brillanti, credibili e coraggiose.
MB: Quindi tutti gli addetti ai lavori erano al corrente del piano e stavano al gioco?
CA: Beh, alcune persone pensavano che stesse accadendo tutto sul serio, anche fra i membri della troupe. Ha dato origine a reazioni intense, ha creato un’atmosfera davvero tesa, cosa di cui avevamo bisogno durante le riprese. Per alcuni è stato davvero destabilizzante. In gioco c’erano sentimenti reali. Nessuno si è sentito preso in giro, tutti erano stati messi al corrente dei fatti, ma in verità Joaquin in certi frangenti era talmente credibile, dava al personaggio tutto se stesso, senza risparmiarsi, che la gente rimaneva confusa. E il mio lavoro era aiutare a creare, mantenere o controllare quella confusione quando la scena in questione lo richiedeva. Creando così ancora più confusione. Ma anche questa è rappresentazione, perché la storia verte in parte intorno a un uomo e al suo rapporto con la gente che fa il film su di lui.
MB: E le persone estranee ai lavori?
CA: Come la gente per le strade, nei bar, e via dicendo? Loro pensavano si trattasse di un “documentario”, quindi una cosa “vera”. Inoltre c’era il resto del mondo. Dopo la performance di Joaquin a Las Vegas, la gente ha iniziato a sbizzarrirsi su blog, vlog, Tweeter, a fare video, ci sono stati perfino serissimi servizi televisivi, se ne parlava nelle rubriche di entertainement dei notiziari. Ne hanno parlato la CNN e FoxNews. A un certo punto il personaggio interpretato da Joaquin ha dovuto intervenire. Non viveva sotto una campana di vetro, non so se mi spiego. Era interessato all’immagine che il mondo recepiva di lui. Quindi, per rispondere alla tua domanda, per qualche tempo abbiamo letto i commenti della gente sul web, per stabilire le mosse successive del film. Che iniziava a influenzare il mondo reale. Il mondo reale iniziava a reagire al film, e il film avrebbe, in un modo o nell’altro, inglobato questo aspetto.

I'm still here
MB: Al di là dello sviluppo del personaggio, cominciato mesi prima dell’inizio delle riprese, pensate che la vostra amicizia abbia contribuito a determinare questo film?
JP: Beh, per prima cosa… Una quindicina di anni fa Casey era solito telefonare ai giornali per dire che saremmo stati al tale locale alla tale ora, quindi mettevamo in scena una rissa all’esterno del locale. L’abbiamo fatto qualche volta, ma non veniva mai nessuno. Più o meno nello stesso periodo, Casey era impegnato in una serie di conferenze stampa, durante le quali voleva mettersi una barba finta, ma non glielo permettevano. Più recentemente, ho trovato una mia foto con la barba, e ho pensato “Wow, è come la barba che voleva mettersi Casey 15 anni fa”, ed eccoci qua. Se penso al passato, ai 20 anni che io e Casey ci conosciamo, a tutte le cose di cui abbiamo discusso, a tutte le cose che volevamo fare, abbiamo sempre desiderato fare un film insieme e con tutti i nostri amici. Doveva esserci un modo per farlo, senza aver bisogno di una squadra di 150 persone, trucco, capelli… si poteva fare. E avevamo Larry, il nostro production designer, che si occupa di effetti speciali e oggetti di scena, e ha lavorato nel cinema e ha un sacco di esperienza, quindi sapevamo che sarebbe stato in grado di darci una mano. […] quindi a ben vedere si è trattato di un processo lungo 20 anni.

LB: Il personaggio mi ha coinvolto moltissimo! Che tristezza, quando le cose gli andavano male!
JP: Se provi qualcosa, è merito del lavoro di Casey, perché ho visto i premontati e ti assicuro che non dicono nulla. È solo un mucchio di robaccia, un sacco di spazzatura, in cui Casey è riuscito a trovare qualcosa di passabile.
CA: Ma no. A lungo si è trattato di un film di sei ore. Quando Joaquin è in scena, cioè la maggior parte del tempo, è estremamente piacevole da guardare. Riesce a sfiorare tasti che in altri progetti non è possibile toccare, a causa dei limiti intrinseci di produzione, e se ne esce con idee esplosive e sfumature eccezionali per il suo personaggio. Avrei lasciato dentro tutto. Tutto ciò che Joaq ha fatto.

MB: Che accoglienza vi aspettate dalla comunità hip hop?
JP: È dura immaginare le reazioni della gente.
CA: Tanto per cominciare, in realtà non c’è poi così tanta musica.
LB: Beh, grazie a Dio.
CA: A dire il vero Joaquin ha molto talento musicale.
JP: [ride] Ma smettila. […]

*I cani di Phoenix si sbizzarriscono nel prato. Sullo sfondo, il sole inizia a indietreggiare dietro l’umida coltre che copre Los Angeles.

MB: Le reazioni negative vi hanno colto di sorpresa?
JP: È difficile rimanere sorpresi quando si parla della relazione con i fan. La gente vuole il sangue. Ti prendono a bastonate, poi ti rimettono in sesto, ti fanno coraggio, ti sostengono. Possono mostrarti il loro appoggio solo una volta che ti hanno quasi distrutto.
CA: Joaquin ha tenuto un concerto a Miami. C’era un mucchio di gente, con tanto di barbe finte, pronti a filmare tutto con i loro cellulari. Volevano vederlo in difficoltà. Volevano che Joaquin si rendesse ridicolo come aveva fatto da Letterman. Quando Joaquin è saltato giù dal palco contro il sobillatore… Eddie Rouse, un grande attore. Davvero bravo. Per inciso, la sua parte era molto più grande, ma abbiamo dovuto tagliare. Dicevo, Joaquin è saltato giù dal palco dopo una canzone. Un vero tuffo nell’abisso. E a quel punto hanno iniziato a incoraggiarlo. Scandivano il suo nome. La folla si è animata di un’incredibile energia. Il locale è rimasto elettrico per ore. Erano tutti su di giri, quasi in botta; poi, quando l’effetto è finito, se ne sono andati con lo sguardo perso.
JP: Erano davvero in botta. Poi sono collassati. E se ne sono andati con lo sguardo perso.
CA: E io che credevo che fosse merito nostro… Cavolo.

MB: Pensi che la sete di sangue sia un tratto esclusivo della natura umana, Joaquin?I'm still here
JP: È come la natura selvaggia, o le battaglie fra gladiatori. Un impulso umano di base, profondamente radicato. Certo, non l’hanno messo nel Voyager Golden Record [il disco collocato nella sonda Voyager nel 1977, con lo scopo di fornire informazioni sulla razza umana a forme di vita extraterrestri], ma è molto indicativo della natura umana. Sapevate che non hanno permesso alla NASA di inserire immagini di un essere umano nudo? Hanno potuto mettere solo delle sagome. Gli alieni saranno molto confusi a proposito dei nostri sistemi di scarto, o capiranno che siamo una specie repressa, bigotta, spaventata e ottusa. […]

*Una pausa. Demme smette di scattare foto e contempla qualcosa in lontananza.

AD: Il passaggio dalla recitazione alla musica è arduo. L’ho visto spesso. Così, anche se la gente non sapeva se si trattasse di realtà o finzione, c’era sempre in ballo una questione di integrità teorica.
JP: Dem, stiamo parlando di robot.
AD: Lo so.
MB: Il passaggio di cui parla Amanda però non implica sempre rinunciare del tutto a una attitudine in favore di un’altra.
AD: Beh, in realtà sì, specie nella musica. È più semplice diventare un attore se sei un musicista, che il contrario.
JP: Bene, pare che abbiate afferrato il nocciolo della questione. […]
Comunque, alcune reazioni mi hanno lasciato sorpreso, ma quelle negative non più di tanto. Quando Eddie – il sobillatore del locale a Miami – iniziò a fare casino, Casey mi disse che la mia risposta doveva essere “Io ho milioni di dollari sul mio conto corrente, tu che cos’hai?” Ed ero certo che la gente avrebbe iniziato a lanciarmi addosso della roba e a fischiarmi. Pensai che mi avrebbero dato del coglione, invece si misero a ridere e mi applaudirono. Cazzo, mi applaudirono.
CA: Doveva essere un momento stile Michael Richards [si riferisce agli insulti razzisti rivolti da Richards a uno spettatore durante uno sketch nel 2006] ma per qualche motivo il pubblico invece prese le sue parti contro Eddie. Ma Joaquin è stato eccezionale, non ha avuto pietà per se stesso, ha davvero toccato il fondo. Avrebbe potuto farsi spalleggiare, crogiolarsi nell’appoggio dei fan, ma questo avrebbe vanificato tutto. È stato veramente coraggioso.

MB: E cosa ci dite di Hollywood Minute e Half Guy, il vlogger sputasentenze?
JP: Geniale.
MB: Già, ha fatto davvero bingo, amigo. […]


MB: Com’è stato lavorare con Puff Daddy?
JP: Diddy è un genio, vero?
CA: Sì, si è messo completamente a nostra disposizione, era aperto a qualsiasi esperienza. È un vero professionista.
JP: È entrato nel gioco immediatamente. Siamo andati a Miami per incontrarlo. Siamo andati a casa sua, gli abbiamo spiegato cosa avevamo intenzione di fare, ed è saltato a bordo.
CA: Abbiamo girato con lui quella stessa notte, per circa un’ora. Ha ripetuto la scena tre volte. Ogni volta è stato bravissimo.
LB: È per questo che è uscito tutto così bene. Non c’è nulla che sembra artificioso.
I'm still hereJP: Beh, in realtà ci sono un sacco di forzature. Ci sono state un sacco di cose difficili da catturare. Ma credo che la cosa sia… a dire il vero Casey ha simulato un sacco, sempre restando dietro la macchina da presa. […] Casey doveva creare energia, far scaldare l’ambiente, e a quel punto arrivavo io.
LB: Questo è il lavoro di un bravo regista.
JP: Sì, ma la maggior parte dei registi non sono veramente in grado di farlo. Credo che Casey riuscisse sempre a essere convincente e a mettermi al mio posto, non importa quando gli altri fossero arrabbiati con lui. Perché eravamo sul serio tutti buoni amici che se la spassavano insieme. E a volte eravamo nel mezzo di una normale conversazione e dovevamo pensare di girare la tale scena. E non era semplice rientrare nella giusta atmosfera, specialmente all’ennesimo ciak. Doveva occuparsi di un sacco di cose tutte insieme: non solo le questioni tecniche, ma anche scaldare tutti e riportare tutti nel giusto stato d’animo, cose del genere.

MB: Casey, ti piace considerarti l’artefice di tutto?
JP: Può anche non essere piacevole.
CA: No, non è stato piacevole. Di solito non lo è. Ma una volta che il film inizia, guadagna slancio, crea una sua realtà e solleva il fardello dalle mie spalle. E spesso il fardello gravava su Joaquin, perché è la storia di un individuo che agisce secondo il proprio arbitrio. Gran parte del fardello era su di lui.
JP: È stato molto difficile, e Casey doveva occuparsi di gran parte della cosa.

*Muller controlla la luce. Demme volteggia, cammina sulle mani, fa la ruota, praticamente invisibile, scattando foto alle scarpe di Phoenix, alle sigarette, al portacenere, alle unghie e via dicendo.

JP: Ma dico, stai scherzando!? Demme, io ti ammazzo. Non puoi tirare il sasso e poi nascondere la mano! [risate a crepapelle] Sei davvero pessima! […]
CA: Parliamo di Amanda Demme. Doveva fissare i concerti, convincere DJ, proprietari e gestori dei locali, tutta gente estremamente scettica, che Joaquin faceva sul serio e non ci sarebbero state sceneggiate da star.
JP: Dem è eccezionale. Beh, è talmente eccezionale che possiamo ben… [ride sotto i baffi]
LB: Vi pagavano per i concerti?
JP: Sì, ma abbiamo dato tutto in beneficenza.
CA: Sì, ci hanno pagati. Una grande Cadillac bianca, da guidare su e giù per la città.

MB: Joaquin, come hai fatto a mettere su tutto quel peso?
JP: È stata la cosa più facile. Burro di noccioline fritto, gelatina, sandwich al gelato.
LB: Cazzo! Lo voglio assaggiare! Dobbiamo organizzare una festa con questo menù. […]
CA: Incredibile, ha messo su tanto di quel peso. […] Ma non era solo quello, era anche l’atteggiamento, l’aspetto nel complesso: si è proprio trasformato.
JP: Ero bellissimo!
CA: E com’eri vestito… ti sei messo un abito di Armani, cosa non molto comune – qualcun altro si sarebbe lasciato andare del tutto, lui invece cadeva a pezzi, ma dava l’impressione che cercasse darsi un contegno: si è messo un bel vestito e affrontava il pubblico. […]
JP: A dirla tutta, io volevo essere in forma. Volevo essere il genere di persona che si fissa con la forma fisica. Ma Casey voleva un uomo sfatto.
LB: Beh, se devi convincerci che stai attraversando un brutto momento, che sei disperato, drogato, eccetera, non è il caso di I'm still hereandare in palestra alle sei del mattino per scolpirti gli addominali.
JP: Abbiamo girato una scena che poi è stata tagliata. Hai presente gli stimolatori muscolari? Casey e Larry mi avevano bardato tutto, completamente, ma abbiamo perso il girato. Cioè, abbiamo perso delle inquadrature. O Casey le ha perse, o non so cosa sia successo.

MB: OK, passiamo a qualcosa di meno prosaico… Ovviamente voi due passate un sacco di tempo a lavorare insieme. Secondo voi, al di là del vostro rapporto, cosa dice questo film sull’amicizia?
JP: Tocca a te, perché sei stato tu l’altro giorno a dire che si tratta di un film sull’amicizia.
CA: Il rapporto che c’è tra Joaquin e Larry tocca il cuore del film, ma non si sente che alla fine. Tutto ciò che Larry dice o fa, è pregno di sincerità e naturalezza.
JP: Diceva che la cosa importante è che quando sei nei guai, quando sei a pezzi, quando davvero hai bisogno di qualcuno, è lì che si vede l’amicizia vera. Diceva che l’importante non è esserci per l’altro nel momento del successo, ma esserci quando l’altro… [a Demme, che ha messo la macchina fotografica a pochi centimetri dalla faccia di Phoenix] Cosa stai facendo?! E dai, porca miseria!

LB: Possiamo dire che l’amicizia si fonda sulla fiducia incondizionata?
CA: Ci tieni proprio a infilarti in questo buco nero, eh?
LB: C’è un altro buco che fa al caso nostro? Comunque sì, ci tengo!
CA: Diciamo che Joaquin doveva fidarsi di tutti. Ma, quando si parla di fiducia, non esistono prove oggettive a suo favore. Devi compiere la scelta di fidarti degli altri. E Joaquin ha fatto questa scelta, nonostante ogni prova sostenesse che la cosa giusta da fare fosse il contrario.
JP: Questo non è affatto vero. Mi sentivo come Malcolm X alla finestra con in mano il fucile, e pensavo “dove sarà Casey con quella cazzo di cinepresa?” Ogni volta che sentivo un fruscio fra i cespugli, correvo fuori come un pazzo ad accendere le luci. Vivevo in un costante stato di paranoia, credevo che mi stessero filmando in ogni momento. Eravamo a San Francisco; ho passato un paio d’ore da solo nella mia camera a dire cazzate credendo che mi stessero riprendendo. Sono rimasto sveglio fino all’una del mattino a recitare monologhi e cose del genere, e la macchina da presa era spenta.
CA: Alcune persone nel film sono state scelte non solo come membri della troupe, ma anche per recitare nel film, per essere parte del cast. È un film su un uomo su cui stanno girando un film. Allontana tutti intorno a sé finché non gli rimangono che gli addetti ai lavori. Poi allontana anche loro. Quindi alcuni componenti della troupe sono stati scelti per la loro personalità e anche per la corrispondenza fra il loro essere troupe e interpretare se stessi nel ruolo di membro della troupe. […]


MB: Quando andate alla William Morris Endeavor e vi dicono “Niente sceneggiatura?”, e voi “Beh, in un certo senso… cioè, no.”
I'm still hereJP: Casey pensava che sarebbe stato più credibile per il personaggio agire come se tutto fosse stato solo un’operazione di facciata, come se pensasse “OK, ci provo, ma in caso ne venisse fuori qualcosa di buono…
CA:
Non ho mai detto nulla del genere. Ma la cosa più terrificante che abbiamo fatto è stato presentarci alla William Morris Endeavor con le telecamere e cercare di intervistare Patrick Whitesell.
JP: Lì sono stati davvero collaborativi, ne avevamo bisogno.
LB: Patrick ha visto il film?
JP: No. Non l’abbiamo mostrato a nessuno.
CA: Già, solo a Flaunt.
LB: Ma per favore. Sue l’ha visto.
CA: Sue Gossage, Jr?
MB: Se non sbaglio il Los Angeles Times l’ha visto, o…?
CA: No. Abbiamo fatto delle proiezioni per i distributori. Il LA Times ha scritto delle cose negative basandosi su ciò che aveva sentito da chi aveva assistito alle proiezioni. Sapevano che volevamo tenere il tutto più segreto possibile, e loro hanno rivelato degli spoiler.
MB: Già, hanno scritto come se si trattasse di una proiezione per i media e questo fosse il suo [di John Horn] resoconto. Come se fosse nella posizione di poter recensire il film. E ha parlato solo degli scandali, ha solo fatto un elenco delle bizzarrie.
JP: Sì, ma sapevamo che quelle cose avrebbero fatto discutere.[…] Forse è stata una scelta di comodo la nostra, ma di certo sapevamo che ne avrebbero parlato.
MB: Quindi il “grande scarico” era programmato?
CA: Non è che l’avessimo definito del tutto. Sapevamo che doveva accadere qualcosa di brutto a Joaquin, qualcosa di traumatico, e che doveva arrivare da un amico. Abbiamo pensato a molte cose. Ma alla fine abbiamo optato per quello. Inoltre, durante le riprese, sapevamo che l’aggeggio per gli escrementi – il tubo, il meccanismo progettato per uscire dal culo di Antony e simulare la defecazione – sapevamo che sarebbe stato redditizio. L’abbiamo brevettato e ha funzionato alla perfezione.
MB: Beh, per Luis è stata una goduria: lui è un grande fan di John Waters.
LB: Ugh, non ci potevo credere! […]

*Barajas spiega nei dettagli le sue manie e il suo punto di vista di “ragazzo venezuelano” a proposito di John Waters…

 

Joaquin Phoenix & Casey Affleck are hip hop's newest sensation

di MATTHEW BEDARD

Traduzione a cura di Ilaria Fusé

 

Flaunt Magazine Cover

Flaunt Magazine è un periodico di costume e cultura americano fondato nel 1998 dal suo attuale capo-redattore, Luis Barajas, e da Jim Turner, direttore creativo. La rivista, con i suoi 10 numeri annuali, ha il suo punto di forza nella sua capacità di cogliere e dare voce a tendenze e avanguardie di quanto è più significativo nel mondo dell'entertainment e dell'arte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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