"L'evocazione – The Conjuring", di James Wan

the conjuring

In tempi di falsa sperimentazione teorica, James Wan sembra voler tornare alle origini del cinema horror che ha amato ed assimilato. Il suo obiettivo è quello di spaventare il pubblico, lasciando che a parlare siano i luoghi e i set: ma è un tentativo riuscito a metà, perché il suo film non riesce a rendere davvero memorabile un’esperienza già vissuta troppe altre volte.

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Dopo aver dato il via alla saga di Saw, caratterizzando e influenzando (nel bene o nel male) buona parte del  cinema horror dell’ultimo decennio, anche in virtù di una struttura esasperatamente seriale, James Wan si è dimostrato un cineasta molto più classico di quanto lasciasse prevedere agli esordi. Un regista dallo sguardo nostalgico nei confronti delle storie – più che degli stili – del passato (le bambole di Dead Silence, il poltergeist di Insidious), intenzionato ad aggiornare al presente tutte quelle caratteristiche del genere finalizzate innanzitutto all’impatto emotivo nei confronti dello spettatore. Insomma, a James Wan interessa spaventare il proprio pubblico, e per farlo pesca a piene mani da quei vasti immaginari che tutti noi abbiamo già conosciuto, amato e assimilato. L’evocazione – The Conjuring nasce come conseguenza diretta del precedente Insidious (del quale è già pronto il secondo capitolo, di imminente uscita), riprendendone anche il protagonista Patrick Wilson: una sorta di variazione su tema, stavolta incentrato sul classicissimo filone delle case infestate da presenze di natura soprannaturale. Se nel film del 2011 il referente diretto era il film di Tobe Hooper, stavolta Wan sembra guardare ad Amityville Horror e a The Changeling (bellissimo, e già omaggiato proprio nel film precedente). Non gli interessa aggiungere nulla a un sottofilone sul quale, del resto, è già stato detto tutto, e in abbondanza: piuttosto, sembra aggirare abbastanza abilmente la trappola del remake-fotocopia, raccontando una storia che non è la stessa ma che, in fin dei conti, lo è. Ugualmente ed inevitabilmente. 

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Forse la chiave di lettura del film va cercata proprio in questa tenacia ai limiti del commovente, in questo smaccato atteggiamento (politico?) nei confronti del genere: in tempi di falsa sperimentazione teorica (il mockumentary), Wan sembra voler tornare indietro, fino alle radici di questo cinema. Lasciando che a parlare siano i luoghi, i set; le stanze vuote e i corridoi minacciosi. Anche la casa stessa di The Conjuring è un luogo che conosciamo tutti benissimo, e Wan ci invita a visitarla come se fosse la prima volta. Con il tempo la sua perizia tecnica è divenuta invidiabile (una sequenza per tutte, l’accerchiamento degli uccelli intorno all’abitazione), ma al tempo stesso è come se ogni volta mancasse qualcosa. Lo avevamo già avvertito in Insidious, nel quale però il rispetto e la dedizione di Wan ci avevano convinto a soprassedere sui difetti. Stavolta commette lo stesso errore, per la seconda volta consecutiva: quello cioè di adagiarsi sui luoghi comuni, concentrandosi unicamente sull’aspetto primario della sua pellicola, che è ovviamente quello di provocare un genuino terrore. Ma non ci riesce fino in fondo, poiché priva il tutto di un aspetto niente affatto secondario: la sorpresa, lo stupore dinanzi a una visione che non deve essere necessariamente inedita nè portatrice di chissà quale sconvolgente novità, ma che deve comunque essere in grado di lasciare un graffio, un segno. Se il suo The Conjuring fa fatica a rimanere nella memoria, è innanzitutto perché il mondo che racconta lo conoscevamo già.

 

 

Titolo originale: The Conjuring

Regia: James Wan

Interpreti: Vera Farmiga, Patrick Wilson, Mackenzie Foy, Ron Livingston, Lili Taylor, Hayley McFarland, Shanley Caswell, Joey King, Sterling Jerins, Shannon Kook, John Brotherton

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Durata: 112’

Origine: USA, 2013

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