LIBRI DI CINEMA. Bambole Perverse, di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri

Il nuovo libro di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri parte dal cinema delle origini per arrivare ai giorni nostri e raccontare le donne di Hollywood e il loro ribellarsi agli stereotipi imposti

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Alcune donne del cinema hanno conquistato con la celebrità il compito di essere un’icona. Come tale pronta ad essere adorata, invidiata, emulata, di essere trasformata in un modello da imitare e prendere ad esempio. Nel libro di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri, Bambole Perverse (La Nave di Teseo), prefazione di Luca Guadagnino, si opera un excursus nel tempo e nelle definizioni che hanno accompagnato le dive del grande schermo, ora replicate nel pulviscolare habitat digitale. L’intento degli autori è dimostrare quanto siano strette in realtà, e quanto siano lontane dal vero, le etichette agganciate a queste donne da un sistema cinematografico industriale, quello hollywoodiano, alla continua ricerca di campioni da stratificare e catalogare in prodotto, per controllare meglio il posizionamento di mercato. Dark Lady, Funny Girl, Popcorn Venus sono alcune delle categorie, il marchio di fabbrica seriale per individuarle, seguirle e spesso inserirle dentro una logica di consumo che comprende gadget, utensili, rotocalchi e soprattutto un dress code, la voce più importante di un perfetto processo identificativo in termini economici tra make up, vestiario ed accessori vari.

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Lo spiega la stessa Mariuccia Ciotta: “C’è chi sostiene che la donna è guardata, nel cinema classico hollywoodiano, e non guarda. Io non sono d’accordo. Tutto il nostro libro è fondato sul fatto che la donna si ribella allo stereotipo, lo rompe e cambia il segno. Si comincia con Mary Pickford, la fidanzata d’America, che viene considerata un’attrice di poco conto, un personaggio che anzi umilia la donna perché è sempre bambina. Invece è esattamente il contrario. Lei invece era dotata di una forza incredibile, una forza morale. Va nel Far West a dare lezioni di etica ai rudi cowboy, è una donna che dentro lo schermo e fuori s’impone negli anni dieci e venti con Griffith e con i lungometraggi come una personalità molto importante. Lei fonderà la United Artists insieme a Griffith, insieme a Chaplin, a Fairbanks. È una cosa che ci ha molto interessato nella stesura del libro, cioè analizzare dentro al film, ma anche occuparsi di quello che è avvenuto fuori dal set. Il fatto di riconsiderare il ruolo delle donne non ha niente a che fare con la mancanza di erotismo e sensualità. Non c’è repressione della sensualità e dell’erotismo, l’importante è capovolgere il punto di vista maschile che vede nella donna un oggetto.

Attraverso aneddoti e ricordi presi dentro e fuori dal set su queste donne, perennemente in vetrina, della fredda staticità delle bambole si scopre abbiano ben poco, anzi brucino dal desiderio costante, e perverso, di rompere le righe. Le lotte per avere pari diritti rispetto ai colleghi maschi a livello salariale e per ottenere voce in capitolo sulla propria carriera, decidendo liberamente volta per volta il ruolo da interpretare, sono solo alcune delle battaglie combattute. Ancora Mariuccia Ciotta: “Tutto il nostro libro è un po’ questo. Abbiamo molto studiato e lavorato su quella parte che riguardava il rapporto con gli Studios, come le attrici nel corso del tempo sono riuscite ad imporre delle loro condizioni, che riguardavano la libertà di scegliere i copioni, di scegliere i registi, di lavorare per case di produzione diverse da quella con cui avevano un contratto.”

La vera guerra stava nella loro, non comune, capacità di reinventare il personaggio continuamente, nell’eludere le aspettative per sollevarne delle altre ancora maggiori, nel passare incolume da un ruolo all’altro sempre con la stessa credibilità. Degli aspetti indispensabili per distinguere dalla massa informe, dal carattere impersonale, delle stelle di prima grandezza come Clara Bow, Rita Hayworth, Greta Garbo, Louise Brooks, Doris Day, Tilda Swinton, Scarlett Johansson, nomi dal talento troppo grande, inappropriati da circoscrivere e delimitare in un recinto standard. Donne, che insieme ad altrettante donne forti e coraggiose, non si limitavano, e non si limitano, a seguire supine le regole ma cercano deviazioni, scorciatoie, complicazioni, punti di incontro e di scontro, testarde ed impulsive. Vive, ribelli. Mutanti del corpo e dell’anima.

Gli eccessi e le trasgressioni nel privato, scandali spesso creati ad arte per abbattere un totem cresciuto a dismisura, gli amori impulsivi, i colpi di testa, raccontano una storia parziale, necessari al massimo per assicurarsi del loro avatar terreno o confermare il legame inscindibile da una personalità debordante e genuina anche fuori dalla luce dei riflettori, lontana dall’ipocrisia del mito. Roberto Silvestri:

Il libro è diacronico ma è anche reversibile, e quindi di donne che distruggono gli uomini ne vediamo subito anche nel prima cinema muto. Un momento del cinema che è quasi quello che fa nascere il divismo. Il divismo cinematografico, ripreso dal divismo operistico, è del 1906/07. L’Italia ha avuto un’importanza gigantesca nell’immaginario mondiale nel periodo delle dive, cui dedichiamo un grosso capitolo perché il momento nel quale in tutto il mondo non ci si veste più con i busti. Il modello di Eleonora Duse, tra le altre, è stato importante per il divismo americano, che immediatamente dopo mette in discussione proprio la cultura puritana. Purtroppo il fascismo, nonostante la presenza di attrici straniere, congela questo meraviglioso meccanismo di liberazione della donna, che nel periodo delle suffragette e fino alla guerra mondiale, vede la donna italiana tra le più importanti per le libertà. Le conseguenze della guerra, con tanti morti e feriti, distruggono i movimenti delle donne, completamente. In Francia è vero che ci sono stupende combattenti, tipo Simone Signoret, ma quell’epoca è segnata da Jean Gabin, che è il simbolo di questo controllo. Anna Magnani, le maggiorate, sono due momenti particolari di risarcimento. Ci sarà un momento molto importante delle attrici anche negli anni ’60, Monica Vitti ad esempio le rappresenta, con lei la donna problematica, la donna moderna entra nel nostro cinema. Però la vera immagine di attrice con capacità di svincolarsi dal flusso narrativo consentito, dal format obbligatorio era ed è rimasta Asia Argento, sottoposta come alcune delle rappresentanti di MeToo ad un certo attacco.

Il quadro si forma dalla continuità e dalla contingenza delle due dimensioni, l’inquietudine travalica lo spettro esistenziale e lo rende di dominio pubblico, l’irrequieto raccoglie i dubbi, le paure, i cambiamenti che tormentano la società. Ed anche più che nella loro parte maschile, questa si ritrova, guarda quei sorrisi sfrontati e sicuri, rassicuranti beffardi ed adulatori, ingenui e sinistri ed enigmatici, sostituiti all’occorrenza da una maschera, dove specchiarsi. Un’immedesimazione coerente eppure scivolosa, umorale, imprevedibile, generata dalla combinazione di fattori eterogenei ed arbitrari, nonostante i tentativi dell’establishment produttivo di prevedere una linea di controllo per le dive che, va da sé, veniva travolta da un potere, in un certo momento imprecisato cresciuto fino ad essere dirompente e gigantesco, tanto da poter guardare con occhi di sfida il suo stesso creatore. Mariuccia Ciotta: “Ad un certo punto c’è una storia di divismo allucinante: per esempio questa idea che le dive avessero una vita super lussuosa, di sperperi, di case principesche, di vizi ecc… erano tutte montature degli Studios, che volevano imporre l’immagine pubblica della diva come eccentrica, inaccessibile. Spesso le attrici hanno subito questa cosa. Gli imponevano anche di scrivere delle autobiografie false. Venivano ricattate perché erano più deboli della produzione, e quindi queste biografie dovevano in qualche modo consolidare questo rapporto, questa immagine di diva, divina o al contrario una donna senza limiti, che non aveva freni morali.

Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri

Il movimento MeToo è molto importante per questo motivo, è una svolta politica molto forte nel dire che i rapporti di forza devono cambiare, è un atto politico. Non abbiamo voluto entrare nel merito del movimento MeToo, ma nel libro è stato molto presente. Il movimento non deve essere interpretato come un movimento di lamentela, di richiesta di risarcimento, di difesa da questi maschi che approfittano delle donne. Penso che è un atto politico dirompente, perché rompe questa consuetudine di normalità del rapporto attrice produttore. Del produttore che approfitta dell’attrice si dice che sia un fatto nato insieme al cinema, il produttore che chiedeva all’attrice di dare questo contributo alla sua carriera era la norma. Questa cosa del MeToo è una cosa che non riguarda soltanto la rivendicazione di libertà, di diritti, ma è anche un modo per scoprire delle carte e dire che i rapporti di forza devono essere modificati.”

Ma il libro oltre ad offrire una panoramica rivolta al passato del passaggio simbiotico da fenomeno di costume a vettore indipendente di valore e di visione, arriva nel presente individuando dei corrispettivi contemporanei alle celebrità, quelle attrici che per propensione propria, o suggerimento altrui, le fanno rivivere oggigiorno. Fino ad annullare l’idiosincrasia temporale nell’attualità, con una rilettura post umana del gender che ne ridefinisce la declinazione in chiave futura. Roberto Silvestri: “L’occhio che non sbatte le palpebre e l’occhio che sbatte le palpebre, dovrebbe essere il segno dell’uomo o della donna autoritaria. Invece la mutante, nonostante il corpo che le hanno dato, ha una dose di umanità e di debolezza incredibile sbattendo le palpebre…Michael Caine diceva che un attore deve saper assolutamente utilizzare questa parte dell’occhio in maniera perfetta.”

La metamorfosi è un continuo update di segno indefinito, meno pervasivo nella galassia espansa multimediale, eclissata da uno spostamento quantico tra i ruoli, per i quali non è più sufficiente un cambio di abito e richiedono invece uno svuotamento spirituale, su cui ricalibrare ogni volta la compatibilità del corpo. Mariuccia Ciotta: “Scarlett Johansson in Ghost in the shell incarna il cartone animato e lo fa benissimo. Il film è molto interessante perché non solo ripercorre i film di animazione, ma si ferma e inquadra i momenti cruciali di questa mutazione e del senso che ha il cyborg, che è un innesto di organico ed inorganico. In questo caso lei è un corpo inorganico, un corpo di donna iperfemmina, nel cartone è ancora più evidente. Grandi seni, vita sottile, insomma tutto quello che è l’immagine di una pin up. Mentre ha un cervello umano, ma non il cervello di una donna, e neanche di un uomo, è il cervello di una persona. La questione del gender viene affrontata direttamente, secondo anche gli insegnamenti di Judith Butler, questo corpo a cui appunto non corrisponde il gender. È un film fondamentale per capire come il corpo della donna è stato sezionato in tante parti nel cinema, dove si inquadrano le gambe, poi si inquadra il seno. In questo film si vede come lei è costruita pezzo per pezzo in una catena di montaggio. Sono donne seriali. Nel sequel dell’anime, Ghost innocence, delle bambine fatte in serie per il godimento degli uomini, i lolicon, quelli che amano le bambine, faranno a pezzi gli uomini. E li faranno a pezzi esattamente come sono fatte a pezzi loro dal punto di vista sessuale. La mutante più di qualsiasi altra categoria dà il senso di questa capacità del corpo femminile di fuggire ad una etichetta, ad un ruolo, e di fluttuare da un genere all’altro, di scompigliare le regole del gioco. Come faranno molte delle attrici che noi abbiamo preso in considerazione e che cambiano di segno lo stereotipo.”

Controluce tra le righe, come naturale schema di sostegno, ai tanti nomi passati dalle cronache del successo, vengono alternati quelli delle moltissime donne che popolano l’universo cinema, con un surplus nei primi decenni dello scorso secolo, abituate all’ombra, senza le quali fornire una spiegazione della complessità e delle sfaccettature dei personaggi femminili sarebbe probabilmente impossibile. Senza voler essere esauriente, il libro ci parla di altre lotte per i diritti negati, dell’autonomia da conquistare, dei modelli da abbattere, e lo fa con la voce e le gesta dei personaggi delle eroine prese da esempio. Mariuccia Ciotta: “Sceneggiatrici, scenografe, registe sono tutte importantissime, soprattutto nel cinema delle origini, pensiamo alle sceneggiatrici, che nei primi anni sono tutte donne. Il libro vuole un po’ fare questo, cioè cercare di rileggere la storia del cinema attraverso questa parte oscurata, che ovviamente non oscura solo le donne, ma anche gli uomini, dà al film un’altra interpretazione. Abbiamo inserito nel nostro libro due volumi, quello di Molly Haskell e quello di Marjorie Rosen, che sono critiche femministe militanti che hanno scritto questi due libri ripercorrendo la storia del cinema. La loro chiave di interpretazione, da una parte è molto bella e divertente e puntuale, però c’è come sottofondo l’idea una donna, di un’attrice, di un personaggio schiacciate da una logica maschile. È difficile trovare l’idea che abbiamo cercato, di sviluppare di una resistenza non solo fuori dal set di sceneggiatrici, attrici e registe, ma dentro il film. Una capacità del corpo delle attrici, di un loro sguardo, del loro modo di essere che cambiava il segno dello stereotipo imposto.”

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