LIBRI DI CINEMA – “Elephant man. L'eroe della diversità”


Non è (solo) un saggio sul film di Lynch ma un diario polifonico: di memorie sottilmente autoassolutorie, quasi un testamento, quelle del medico vittoriano Frederick Treves; attraverso voci di dolente fantasia teatrale, antropologia, storia, genetica, rappresentazione per immagini: una cartella clinica dove nero su bianco compaiono sintomi e conseguenze del nostro pensiero sull'alterità, l'unico mostro davvero irriducibile. Per Le Mani editore.

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Elephant Man l'eroe della diversità. Dal freak show vittoriano al cinema di LynchELEPHANT MAN. L'eroe della diversità.

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Dal freak show vittoriano al cinema di David Lynch

Di Autori Vari- a cura di Gabriele Mina
Edizioni Le Mani
Finito di stampare nel mese di  ottobre 2010
Pag. 160 –  14,00 euro

 

 

 

Un esercizio filosofico che si getta come un investigatore sulle tracce dello slumming: l'incursione da lunapark praticata dalla classe medio/alta nei bassifondi, alla ricerca di adrenalinici sgomenti, caritatevole ipocrisia, voyeuristica attrazione-repulsione, ma anche mostruosa (questa sì) recita sociale di finta tollerenza verso il “mondo dei corpi irregolari”.

 

L'antropologo Gabriele Mina propone l'Uomo Elefante a quattro ricercatori: il critico cinematografico Stefano Locati, la genetista Silvana Penco, la storica Nadja Durbach (Spectacle of Deformity, saggio sulla cultura dei freak show britannici) lo studioso Fabrizio Foni, cultore del fantastico (Alla fiera dei mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane 1899-1932, libro del 2007). L'attore e regista teatrale che in scena con il suo Elephant underground è stato Merrick: Luca Ferri. E le tavole in bianco e nero dell'illustratrice Isabella Labate, al centro di questo diario polifonico, che è un vertiginoso  vagabondaggio tra memorie, pulsioni, patologie, sintomi e conseguenze del nostro pensiero sull'alterità – l'unico mostro davvero irriducibile.The Elephant Man and Other Reminiscences di Frederick Treves, 1923

 

Si parte da The Elephant Man and The other Reminiscences,  le memorie del 1923 del chirurgo Frederick Treves. Grazie alla traduzione di Gabriele Mina, si legge subito, esplicitamente o tra le righe, l'ansia filantropica e la natura romanzesca del testo di Treves, l'ambiguità di un tentativo di autoassolvimento (del dottore brillante, dell'uomo civile) nel descrivere il disperato paradosso di una creatura il cui attributo più repellente “è proprio il fatto che fosse ancora umana. Non aveva nulla della miseria del malformato o del deforme, nulla della natura grottesca del freak, ma soltanto la ripugnante allusione a un uomo trasformato in animale”. [p. 11].

Questo è ciò che vede Treves in un ritratto che per due pence promette l'ingresso allo spettacolo dell'Uomo Elefante. Nello scritto, Joseph Merrick, rubato a un'intera vita di dolori, sarà, rimesso a nuovo, l'avido lettore di romanzi d'amore, rapito dalla sacralità della sua prima serata a teatro come in soluzione di continuità con la vita, anche quella che a lui è negata: delle opere di fantasia “non gli piaceva discuterne come di uno spettacolo, piuttosto come di una visione di un dato mondo reale. Quando quell'umore lo possedeva, diceva: 'Chissà cosa ha fatto il principe, dopo che ce ne siamo andati!', oppure: 'Pensa che quel pover'uomo sia ancora in prigione?' E così via.” [pp. 31-32]. Un novello Pigmalione nello scritto di Treves, che più che lo stupore infantile dell'immaginario di un essere infelice tradisce un'allusione a “una costruzione identitaria, fondata sul possesso dei beni e dei valori borghesi” [p. 71].

The Elephant Man di David Lynch, 1980Gabriele Mina affonda il bisturi dell'antropologo nello scritto di Treves, che si rappresenta come il salvatore del 'mostro affettuoso e sensibile', ma è una sorta di “imbonitore accademico”, sottolineando la complicità tra il mercato delle esibizioni e l'establishment scientifico, che pure ufficialmente prendeva le distanze dal delirio popolare, con l'aiuto di  richiami puntuali ad altri saggi e sempre tessendo il filo sui passi dello script del film di Lynch, ispirato proprio alle memorie di Treves.

Il London Hospital e le strade umide dell'East End – una rappresentazione collettiva, prima che geografica – sono poli di un corto circuito che vampirizza gli stessi soggetti: donne senza arti, nani, giganti, gemelli siamesi – in show rivolti al popolino  e al borghese pronto ad abbracciare, pacificata la coscienza, il paternalismo della medicina. In realtà “i medici cercavano tra i freaks i soggetti più utili per i loro studi e le loro conferenze, gli impresari perseguivano una legittimazione scientifica che potesse rendere più eclatante lo spettacolo”. [p. 52]. Servendosi anche di Stevenson, di Dickens (e dei richiami alla sua opera nel film di Lynch) Mina traccia le coordinate di un immaginario letterario, antropologico, sociale, su cui si vanno a innestare gli interventi successivi.

 

The Elephant Man, David Lynch, 1980 - silhouetteStefano Locati scandaglia in profondità l'Elephant Man del 1980, quello lynchiano, cercando subito la sua eccezionalità nella sua riflessione “sul potere evocativo dello sguardo e sulla forza creatrice della parola nel dare vita e regolare la difformità” [p. 82]: è questo aspetto che lo rende tanto più interessante di un ricattatorio “racconto umanista carico di pietas”. L'anormale (il mostruoso – il difforme) è quanto viene generato da un processo di costruzione sociale – “essere freak è una prospettiva" cita Locati – quanto emerge da una relazione, spesso morbosa, tra sguardo e narrazione. Ed è per questo che The Elephant Man “continua a riportare in primo piano la valenza del guardare, e del significato che questa azione assume nell'attribuire uno statuto al diverso-da-sè” [p. 82]. E a un altro sguardo, quello del mostro come reificato che si divincola dalle maglie della narrazione altrui, finendo però sempre più imprigionato nelle nuove maglie della compassione che fanno di lui un mostro consapevole, fa riferimento Il perturbante tra oggetto e soggetto, studio che racconta come Lynch si libera anche della rappresentazione classica orrorifica includendo nella narrazione, oltre allo sguardo di tutti gli altri, quello di Merrick Joseph Merrick in una fotografia del 1889stesso.

 

Nadja Durbach ripercorre una triplice storia della vita di Merrick, della narrazione compiuta dall'impresa dello spettacolo dei lusus naturae e di quella offerta dal modello medicale, scorgendo nel suicidio dell'uomo non certo la rassegnazione a una morte conveniente e dignitosa dopo la sua “riabilitazione” sociale, ma anzi, un estremo atto di ribellione, la riappropriazione del proprio corpo devastato sottratto all'oggettivazione e all patologizzazione della scienza medica, che al massimo poteva scorgere in questo corpo la qualità di preziosa e rara mostruosità medica. [pp. 112-113].

 

Fabrizio Foni compie un ulteriore approfondimento sul tema con un avvincente viaggio letterario che traccia una linea tra le figure fiabesche o magiche e i “mostri umani”, i freaks degli spettacoli, mostrando come siano stati sempre in qualche modo estromessi o tacitamente scansati dalla critica nostrana, mentre a Silvana Penco è affidato un breve appunto su un'altra letteratura, quella medica, che consente di comprendere meglio la distanza tra medicina ottocentesca e ricerca genetica [p. 145] e di riflettere su un aspetto di natura filosofica: il passaggio dall'osservazione del corpo esteriore all'infinitamente piccolo delle cellule, “dall'esibizione dei corpi deformi al microscopio”. Luca Ferri è Merrick in Elephant Underground

Il testo di Elephant Underground, spettacolo scritto, diretto e interpretato da Luca Ferri, introduce infine una conversazione tra lo stesso Ferri e Gabriele Mina, Dietro la maschera, in cui Merrick è figura prometeica, personaggio enigmatico e puro di cui Ferri, innamorato, ha deciso di dare una versione che mette in luce le connessioni del tema dei freaks con ll'epoca che viviamo e priva di protesi e escamotage teatrali: solo una maschera, visto che “sono le parole a modellarne il corpo e il viso” [p. 168]. La storia delle deformità di Merrick non è che la storia del nostro sguardo deforme.

 

 

Indice

 

Premessa                                                     p. 7

 

Scritture                                                         p. 9
The Elephant Man
di Frederick Treves                                           p. 11

 

Sguardi

 

Spiando le macchine mostruose
Di Gabriele Mina  
                                           p. 39

 

Frammenti, fantasmi, memoria, p.  39: The Life and Adventures of Joseph Carrey Merrick, p. 44; Ansiosi di vedere, p. 48; Passeggiando nell'abisso, p. 57; Lo spettacolo degli sguardi, p.  65; Le abominevoli macchine, p. 72

 
Lo sguardo e la norma

The Elephant Man di David Lynch                              
di Stefano Locati                                            p. 77 

 

Il meccanismo normativo degli sguardi, p. 81; L'invisibile e il difforme: accenti horror, p. 84; Il perturbante tra oggetto e soggetto, p. 66; La costruzione di un'identità impossibile, p. 92; Chi è il “mostro”, p. 97; Corpi ribelli: gli altri Uomini Elefante, p. 100

 

Mostruosità, mascolinità e medicina.
Riesaminando l'Elephant Man
di Nadja Durbach   
                                             p. 107

 

Meglio Ragazzo Rana che Ranocchio:
il sorriso di Bagonghi e della Donna Mosca
di Fabrizio Foni       
                                               p. 155

 

Riflessi genetici
di Silvana Penco     
                                                p. 143

 

Elephant Underground
Diario di Joseph Carrey Merrick
(Leicester 5 agosto 1862 – Londra 11 aprile 1980)
di Luca Ferri   
                                                          p. 147

 

Dietro la maschera: conversazione
di Luca Ferri e Gabriele Mina
                                   p. 167

 

 

Gli autori                                                                  p. 175

 

Bibliografia                                                                p. 177

 

Indice dei nomi e dei film                                            p. 187
 

 

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