LIBRI DI CINEMA – La passione del reale, di Daniele Dottorini

Come rintracciare ancora un “reale” nel cinema documentario del XXI secolo? “La passione del reale” di Daniele Dottorini è un testo fondamentale in tal senso. Mimesis/Cinema

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La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo

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Daniele Dottorini

Mimesis Editore

244 pagine, 22 Euro

 

L’immagine trae la sua potenza di reale dal fatto che essa fa riferimento a un mondo che non è nell’immagine ma che ne costituisce la forza.” Alain Badiou

Come rintracciare ancora un “reale” nel cinema documentario del XXI secolo? Insomma se l’avvento delle tecnologie digitali e la progressiva softwarizzazione della nostra esperienza quotidiana hanno aumentato a dismisura la carenza referenziale delle immagini con cui ci confrontiamo quotidianamente, come si può testimoniare ancora una verità attraverso il vecchio medium-cinema? La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo di Daniele Dottorini è un testo fondamentale in tal senso. Un libro che non vuole fornire una precisa definizione dell’abusata etichetta di “cinema del reale”, bensì proporre una felice esplorazione dei vari possibili significati di questa locuzione smarginando di gran lunga dal tradizionale perimetro del documentario novecentesco. Perché nell’era della piena disponibilità delle immagini del passato e della iper-produzione di immagini nel presente, il cinema può ancora ricostruire un rapporto tra soggetto e mondo solo attraversando quelle immagini, ossia creando scarti e resti tra di esse, quindi riconquistando una dialettica con un fuori campo che spesso il flusso anestetico dei nuovi media blocca a priori.

Il libro sfugge da ogni tentazione manualistica ed evita le trappole di una (impossibile) catalogazione sistematica di un fenomeno così attuale ed espanso. Dottorini intende porre interrogativi di natura estetica e filosofica instaurando un fertile montaggio di riferimenti e concetti, film e saggi, registi e filosofi: dalle immagini estatiche di Werner Herzog al documentario come “credenza nel mondo” in Marie-José Mondzain; dalla lingua scritta della realtà di Pier Paolo Pasolini al documentario moderno di Richard Leacock; dal reale “pubblico” di Frederick Wiseman al reale “irrappresentabile” di Claude Lanzmann; dal cine-occhio di Dziga Vertov al montaggio intermediale di Pietro Montani; dalla poesia della realtà di Chris Marker alle immagini dialettiche di Walter Benjamin. Il tutto a partire dalla doppia natura del cinema, arte impura per eccellenza (per dirla ancora con Badiou), che dagli infiniti incroci tra le linee Lumière e Méliès ci porta sino a oggi. Ecco allora: il cinema come dispositivo di percezione e sguardo sul mondo del Novecento ha bisogno di nuovi strumenti che lo interroghino a partire dalle nuove forme di spazialità e temporalità che presuppone il nuovo millennio.

Stop the Pounding Heart, di Roberto Minervini

Daniele Dottorini è straordinariamente consapevole del patrimonio cinematografico e filosofico del passato ed è animato da una contagiosa voglia di rimetterlo in gioco nel presente interrogando il reale non come documento incontestabile (utopia impossibile nello stesso documentario novecentesco, da Nanook di Flaherty in poi) bensì come passione, credenza e legame tra il cinema e il mondo da ricostruire solo attraverso opportune mediazioni estetiche. I cineasti contemporanei di riferimento – da Gianfranco Rosi a Roberto Minervini, da Pietro Marcello a Michelangelo Frammartino, da Alessandro Comodin a Giovanni Cioni, da Alina Marazzi a Naomi Kawase, da Miguel Gomes a Sergei Loznitza, da Rithy Panh a Joshua Oppenheimer, ecc – manifestano tutti una profonda fiducia nella possibilità di testimoniare il mondo che li circonda attraverso un nuovo investimento nelle forme del cinema (dal classico al moderno). Quindi contaminando le loro immagini con la finzione per autenticare un’esperienza di vita, testimoniare un evento passato o riconfigurare le tracce disperse di riti/miti sacri. Il documentario o la creazione del mondo, appunto: se nel XXI secolo il confine tra le spinte documentali e gli investimenti finzionali si fa sempre più sfumato, allora “occorre mettere in discussione radicalmente queste due categorie, la loro esistenza separata e le definizioni che si sono susseguite nel corso della storia del cinema. E occorre fare questo non astrattamente, ma attraversando un lavoro di immersione nelle forme del cinema del reale, interrogando le sue pratiche, spostando i termini del discorso, creando nuove connessioni, nuovi montaggi”.

Austerlitz, di Sergei Loznitsa

Questo è un libro prezioso perché sa immergersi nella contemporaneità senza preconcetti e senza dogmi cristallizzati nel tempo. Un libro che sa operare nel contemporaneo partendo dal presupposto che parole come reale o verità creano oggi nuovi percorsi, spazi, sguardi, rispetto al cinema novecentesco e quindi devono fatalmente creare nuove modalità interpretative. La credenza nelle immagini diventa innanzitutto un “credito che si può concedere ad uno sguardo che ha filmato il proprio credere nel mondo.” Proprio come la verità che insegue Sergei Loznitza nell’ex campo di concentramento di Sachsenhausen, filmando il movimento dei corpi (i “turisti” del XXI secolo) e ogni deriva anestetica insita in quell’atto. In Austerlitz testimoniare l’impossibilità di testimoniare diventa una nuova forma di ri-estetizzazione dell’immagine. Ecco: il libro di Daniele Dottorini è uno straordinario esempio di come una rinnovata teoria del cinema unita a un’approfondita ricerca sul campo possa far “condividere” al lettore un percorso di visioni e concetti rifunzionalizzando i quesiti più urgenti che la contemporaneità ci pone. Un libro aperto e animato dal reale non come dogma cristallizzato da verificare, ma come travolgente passione verso la vita mediata in sempre nuove forme cinematografiche.

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