LIBRI DI CINEMA – Sensibilità e potere. Il cinema di Pablo Larraín

Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi affrontano i nodi storici e culturali della filmografia di Larraín isolando immagini che creino scarti e nuovi sensi nella cultura visuale contemporanea

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Sensibilità e potere. Il cinema di Pablo Larraín

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Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi

Luigi Pellegrini Editore

284 pagine, 18 euro

 

Come confrontarsi, in un libro, con il cinema di Pablo Larraín? Premessa: sondando i traumi più intimi del Novecento cileno il giovane regista di Tony Manero si è imposto come uno dei più importanti e paradigmatici cineasti dell’ultimo decennio. Trovando prima una cassa di risonanza privilegiata nel panorama festivaliero europeo, per allargare poi il proprio raggio d’azione nelle produzioni (e nelle ambizioni) americane. Ecco allora: Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi dedicano questo saggio non tanto (e non solo) alle tracce autoriali di Larraín sparse nei suoi sette film, quanto ai riflessi contemporanei di uno sguardo sul mondo che attraversando il cinema (e la sua memoria) ne amplia puntualmente gli orizzonti. La forza di questo libro, pertanto, risiede proprio nell’affrontare i nodi storici e culturali della filmografia di Larraín isolando singole “immagini” che creino ancora scarti, crepe e nuovi sensi nella cultura visuale contemporanea. Coviello e Zucconi interrogano quelle immagini, i loro supporti, i loro formati, operando riflessioni estetiche ancorate alle opere di riferimento eppure capaci di allargarsi a una riflessione universale sul potere e sulle nuove forme di aisthesis che il cinema produce. Perché se il cineasta cileno “è attratto dal potenziale trasfigurante della “fiction” piuttosto che da una concezione illustrativa del “documentario”. Sembra orientato al superamento di questa stessa opposizione, con l’obiettivo di esporre allo spettatore i vari livelli di finzionalità che hanno reso e rendono socialmente praticabile il reale”, allora il libro si incunea intelligentemente in questo palinsesto della storia pedinando personaggi instabili, erranti e aberranti che sfondano le superfici dell’immagine ufficiale del potere. Larraín storicizza la nostra percezione – con l’utilizzo dei materiali d’archivio e il filologico uso di supporti e dispositivi di visione d’epoca – mettendoci ancora alla prova come spettatori attivi. Proprio come fa questo libro, scritto in maniera fluida e comprensibile, eppure capace di aprire voragini di senso che facciano pensare le immagini ben oltre loro stesse.

Insomma: entrando e uscendo dai film di Larraín – il libro ne segue cronologicamente la filmografia – si rintraccia innanzitutto il valore altamente teorico di ogni singolo “frammento”, allargando poi il discorso al cinema contemporaneo come campo tensivo di forze capace di confrontare tracce mediali differenti e quindi di testimoniare ulteriori verità nelle immagini. Dalla trilogia sulla dittatura di Pinochet sino alla riemersione dei traumi contemporanei in El Club, dall’immaginario popolare creato dal Mito Neruda sino alla costruzione di una Camelot americana filtrata dal volto di Jackie, il cinema di Larraín si presenta innanzitutto come una “moderna” riflessione sul mondo interfacciata a un’inevitabile auto-riflessione sul cinema.

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Pablo Larraín e Natalie Portman sul set di “Jackie”

Esempio: in No – I giorni dell’arcobaleno le immagini presuppongono sempre un dispositivo di potere che le ordina, ma hanno al loro interno anticorpi che possono profanarlo in nuovi regimi immaginari. In El Club la traumatica rifigurazione della memoria collettiva cilena è confinata nel fuori campo della storia (tra il dovere del ricordo e il diritto all’oblio), ma è restituita in immagini desaturate e “mancanti” che rendono stratificata ogni interpretazione. Secondo Coviello e Zucconi i campi del sensibile che hanno dettato le regole della nostra percezione nel XX secolo – e il successivo Jackie certifica definitivamente come “i media” siano il terreno d’elezione della riflessione di Larrain sulla storia – possono aprire ancora una profonda riflessione sul nuovo millennio e sulla svolta visuale che stiamo vivendo.

Ma c’è ancora dell’altro. Perché oltre alle fondate argomentazioni estetiche e oltre la puntualissima analisi sui principali nodi teorici che i film di Larraín suscitano, in questo libro si avverte anche il sano e contagioso entusiasmo di due saggisti che solcano fiduciosi le superfici delle immagini tentando di precipitare nel cuore pulsante di ogni singola opera. Sensiblità e potere del cinema.

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