Lo spaccone, di Robert Rossen

Il ‘film sul biliardo’ ma anche tormentato apologo sulla dipendenza. Con gli incubi espressionisti e le ombre, forse autobiografiche, del maccartismo. Oggi, ore 15.05, Sky Classics

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Forse il ritorno di Robert Rossen a quel noir che ha sempre voluto fare dagli anni ’40, sulla linea di A sangue freddo e soprattutto Anima e corpo. E ancora, dentro quella struttura teatrale negli anni in cui il cineasta si era formato quando studiava all’Università di New York prima di avvicinarsi al cinema. Lo spaccone (in originale The Hustler), penultimo film diretto dal cineasta, non solo rappresenta uno dei suoi titoli più importanti ma ha l’energia e la rabbia quasi di un esordiente unita all’esperienza di un veterano. Ed è non uno ma proprio il ‘film sul biliardo’ tanto è vero che del personaggio di Eddie Felson si ricorderà Martin Scorsese quando chiamerà Paul Newman a interpretare lo stesso personaggio 25 anni dopo in Il colore dei soldi (1986).

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Qui Eddie è un giocatore di biliardo ambizioso e di talento. Sfida Minnesot Fats (Jackie Gleason), il miglior giocatore di biliardo sulla piazza, ma perde. Non si da comunque per vinto: batterlo diventa la sua ossessione. Entra così nel giro delle scommesse e inizia una relazione con Sara (Piper Laurie), una donna zoppa che però poi trascura e la loro storia finirà tragicamente.

lo spaccone paul newman piper laurieIl colore dei soldi. Ancora. Gli stessi che si sentivano nel ring del film sulla boxe di Anima e corpo. E gli stessi che si muovevano attorno alla corruzione di Tutti gli uomini del Re. Entrambi i titoli, come gran parte dell’opera di Rossen, sono accomunati da un minuzioso realismo nel descrivere gli ambienti in cui si muovono i protagonisti. Paul Newman con i 200 dollari in mano che vuole continuare a giocare. E, in un’altra scena, sottrae i soldi dalla borsa  E soprattutto la figura del ‘mefistofelico’ George C. Scott che con il denaro sembra muovere i destini di tutti i personaggi.

the hustlerMa Lo spaccone, tratto dal romanzo di Walter Tevis, non è soltanto un potente melodramma che trascina dentro la storia d’amore tra Eddie e Sara sempre sospesa tra desiderio e rassegnazione. Oppure, come si è visto, un malato noir che esplode nella scena in cui il protagonista viene selvaggiamente picchiato e gli vengono rotte le dita in una bisca dopo aver vinto. Ma è soprattutto un film sulla dipendenza. Non solo dai soldi. Ma anche dall’alcool. Dal gioco. Che sono una droga fisica e mentale. Ed è qui che l’impeto di Rossen esplode. Come non era più avvenuto, se non a fasi alterne, durante gli anni ’50, dove aveva diretto corretti film storici (Alessandro il Grande, 1956) in cui aveva tirato fuori uno dei cavalli di battaglia del suo cinema, quello del ritratto psicologico dentro le forme del genere, seguito poi dal fiacco melodramma interraziale L’isola nel sole (1957) e dal western Cordura (1959). Forse Lo spaccone era il film a cui pensava da tempo. Come una propria riabilitazione. Non solo professionale. Si vede nel modo in cui dirige gli attori. Con Paul Newman in uno dei film che segnano una carriera (e inizialmente si era pensato a Frank Sinatra per quel ruolo), ma anche nella modernità del malessere di Piper Laurie (il primo incontro, in una sala d’attesa del bus tra Eddie e Sarah è da antologia) o George C. Scott che sembra l’incarnazione del Diavolo. E, in un piccolo ruolo come barista, c’è anche il pugile Jake La Motta.

lo spaccone paul newmanMa c’è qualcosa in più in Lo spaccone di un film per Robert Rossen. Forse anche un’inquietudine che ha forse alcuni segni autobiografici. Nelle sue ombre con il maccartismo. Dove inizialmente si rifiutò di collaborare con la HUAC (House Un-American Activities Committee (HUAC), poi tornò sui suoi passi facendo i nomi e distruggendo carriere ed amicizie. E dietro al personaggio di Eddie Felson potrebbe esserci proprio Rossen; il giocatore di biliardo vende la propria anima e tradisce l’unica persona che lo ama. Si vede con quale irruenz afilma gli ultimi istanti della vita di Sarah. Con quale foga segna sullo specchio le parole ‘pervertita’, ‘distorta’ e ‘zoppa’. E poi gli stessi luoghi (il senso dello spazio di questo film è l’esempio della purezza di un cinema dove ogni ambiente diventa fortemente caratterizzante) sembrano muoversi. Come un incubo mai finito. Con le ombre che arrivano dal cinema espressionista. O da quella magia rarefatta e mortale del ‘realismo poetico. Proprio con le luci di uno dei più grandi direttori della fotografia dall’epoca del muto, Eugen Schüfftan, tra il Lang di I Nibelunghi e Metropolis e il Carné di Il porto delle nebbie, tutti film dove aveva collaborato. Che sono le stesse che invaderanno il suo ultimo magnifico film, Lilith – La dea dell’amore. Come l’incubo prende forma. Con una carriera per il cineasta che era ripartita da qui. Ma che ormai nel suo sguardo,nel suo cinema, si portava dietro cicatrici incancellabili.

Titolo originale: The Hustler

Regia: Robert Rossen

Interpreti: Paul Newman, Piper Laurie, Jackie Gleason, George C. Scott

Origine: Usa 1961

Durata: 140′

Genere: drammatico

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