Lo spettacolo graduale:"Comandante" di Oliver Stone

Film-spettacolo, nonostante l'apparente "spontaneità" e semplicità della messa in scena, “Comandante” è il segno dell'eccedenza della figura di Castro. La messa in scena del film infatti non nasconde la potenza delle parole e dei gesti del "líder máximo", la capacità di mostrare il suo corpo e il suo pensiero.

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È inevitabile, di fronte allo scorrere delle immagini di Comandante di Stone, ripensare ad Alexander, l'ultima fatica del regista statunitense, tentativo utopico (e solo fino ad un certo punto fallito) di raccontare l'ebrezza e la follia del potere. Due film paralleli (il lavoro con/su Castro è in realtà precedente al film sul condottiero macedone), due film di messa in scena, che forse trovano la loro legittimazione l'uno in rapporto all'altro. In entrambi i film infatti, Stone lavora su un duplice livello di spettacolarizzazione: se in Alexander la spinta spettacolare è totalmente direzionata verso l'esterno, in Comandante è l'interno ad essere invaso dalla forma-spettacolo del film: tanto nel primo la vastità del mondo fatica a farsi specchio e riflesso della vastità dello sguardo desiderante del giovane sovrano, quanto nel secondo lo sguardo del regista e della macchina da presa (dell'intera troupe) entrano nel quadro, si pongono al livello del corpo e della voce di Castro, visto non più come icona premediatica (o perlomeno di una mediaticità meno esasperata di quella attuale), ma come corpo debole e umano. Il  documentario – nato da un incontro di oltre trenta ore di Stone con Castro nel febbraio del 2002 e che ne riproduce in sintesi lo svolgersi tra l'ufficio di Fidel e le strade de l'Avana – introduce, già nei primi minuti, la sua poetica, la sua dichiarazione di stile. Se le prime immagini immergono lo spettatore nel flusso storico della rivoluzione cubana, dalla sconfitta di Batista alla Baia dei porci, tale introduzione, fatta di immagini di repertorio non è che il velo da scoprire, la copertura mediatica che contrasta con l'immagine successiva di Castro, circondato dalle telecamere della troupe di Stone, dal regista stesso che entra in campo, parla ed interloquisce con il "líder máximo". L'operazione è di conseguenza duplice, come si è detto: da una parte l'umanizzazione della figura politicamente eccessiva ed eccedente di Castro – personaggio prima che politico – che diventa così anzitutto uomo, essere umano dedito alla politica, ad una missione che ne ha caratterizzato in toto l'esistenza ma che non ne ha cancellato sentimenti, timori, dolori, speranze e paure. Dall'altra – secondo livello di spettacolarizzazione – la presenza ossessiva della troupe e del regista, che "recitano" in un certo senso se stessi, mostrando dunque l'idea che il cinema sia uno strumento in grado di penetrare la realtà (politica) del tempo senza porsi a distanza, anzi, partecipando all'evento che esso stesso stimola e provoca.

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Si tratta di finzione naturalmente, di messa in scena appunto. La "familiarità" del meccanismo cinematografico – che suggerisce la "spontaneità" dell'evento, il suo essere "qui e ora", non costruito, ma semplicemente "provocato" dalla macchina da presa, dallo sguardo del regista – non sono dunque che messa in scena, adeguata costruzione dell'evento. Una messa in scena adeguata anche alla figura di Castro, al suo carisma che rimane intatto man mano che passano gli anni, alle sue capacità comunicative, al fascino della sua persona e della sua storia. L'attore Castro emerge all'interno dei set del film come evento centrale, corpo straordinario e, soprattutto, luogo di parola e di racconto. La messa in scena del film infatti non nasconde – né vuole farlo d'altronde – la potenza delle parole e dei gesti del "líder máximo", la capacità di mostrare il suo corpo e il suo pensiero come appartenenti ad una dimensione politica e storica e, allo stesso tempo, ad una dimensione profondamente umana. Negli oltre novanta minuti di film, infatti, lo spettatore assiste ad una serie di passaggi, di scarti e di posizioni del corpo e della parola, in cui Fidel passa con disinvoltura dai temi che ricostruiscono la storia della rivoluzione cubana, il rapporto con il "Che", i rapporti con gli Stati Uniti e le altre potenze mondiali, alle sue passioni, i suoi amori, le sue debolezze. Nonostante l'apparente costruzione del set allora, nonostante la dichiarazione di poetica iniziale, lo sguardo dello spettatore sembra dimenticarsi ben presto di tutto ciò che costituisce il contesto del film, di tutto ciò che Stone elabora per piazzare la macchina da presa ad altezza d'uomo, per concentrarsi sulla intensa "performance" di Fidel, in cui storia e memoria, privato e pubblico si fondono totalmente, lasciando effettivamente scorrere l'evento, la sua unicità, il suo essere fuori dalla messa in scena.

Regia: Oliver Stone


Interpreti: Fidel Castro, Oliver Stone, Juanita Vera


Distribuzione: Mikado


Durata: 99'


Origine: Spagna/Usa, 2003

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