Lo stato contro Fritz Bauer, di Lars Kraume

Il film di Kraume non riesce a superare la retorica del genere Shoa finendo per chiudersi da solo in un angolo

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Ciò che colpisce di più in Lo Stato conto Fritz Bauer è il senso di divisione che permea l’intera pellicola. Sono divisi i personaggi, tagliati nelle due metà tra pubblico e privato, sono divise le istituzioni, rimaste segregate in una guerra di trincea, è diviso l’intero paese, nello spirito prima ancora che venga eretto il muro che separerà Berlino. Entrando negli anni ’60 la Germania non ha ancora iniziato un processo di revisione della memoria e continua a infilare la testa sotto la sabbia, facendo finta che il Reich non sia mai esistito. Il primo passo verso una ricostruzione (dell’idea di Nazione) passerà attraverso il processo Eichmann, che si svolgerà a Gerusalemme nel 1961, e che sarà il primo a servirsi dei racconti dei sopravvissuti, portati alla sbarra come accusatori diretti delle atrocità del nazismo. Un approccio rivoluzionario che finalmente premetterà al rimosso dell’Europa di riaffiorare e darà a molti il coraggio di alzarsi in piedi e far sentire ad alta voce tutto l’orrore di cui è stato capace l’uomo.

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Il processo Eichman inoltre è stato il primo ad avere una copertura televisiva totalizzante, infervorata dall’incalzante raffica di domande in stile hollywoodiano del procuratore generale Gideon Hauser, e divenuta negli anni il paradigma del faccia a faccia con i gerarchi nazisti. Ma tra il processo di Norimberga e quello della mente dietro la deportazione di otto milioni di ebrei passano più di quindici anni. Un vuoto che una generazione di registi tedeschi, quasi tutti nati dopo i fatti appena descritti, hanno cominciato a colmare con i loro film.

Lars Kraume si iscrive a questo gruppo e programmaticamente lo fa raccontando la storia che rende possibile il processo Eichmann e quindi l’inizio del percorso di ripristino della memoria collettiva. Il Fritz Bauer del titolo è un procuratore ebreo, omosessuale, che tornato in patria alla fine della guerra, si prefigge come unico scopo nella vita di scovare tutti i nazisti ancora nascosti dentro le istituzioni. E’ un compito impossibile considerando come la Germania non abbia attuato nessun tipo di repulisti, per non minare la stabilità di uno stato già in ginocchio. Portare Eichmann alla sbarra sarebbe come aprire il vaso di pandora sulle ambiguità del governo Adenauer, un atto che nessuno all’epoca può permettersi. Quindi Bauer si troverà nel dilemma morale di dover scegliere tra la patria e la sua coscienza, riproponendo lo stereotipo dell’Olocausto come sacrificio. 

Il film di Kraume non riesce a superare la retorica del genere Shoa finendo per chiudersi da solo in un angolo. Si accontenta di raccontare una storia, curiosamente già raccontata da Giulio Ricciardelli nel Labirinto del Silenzio, senza proporre riflessioni che vadano oltre la dimensione memoriale, sprecando in parte le ottime prove attoriali di Burghart Klaubner e Ronald Zerhfeld.

Titolo originale: Der Staat Gegen Fritz Bauer
Regia: Lars Kraume
Interpreti: Burghart Klaußner, Ronald Zehrfeld, Sebastian Blomberg, Jörg Schüttauf
Distribuzione: Cinema
Durata: 105′
Origine: Germania, 2015

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