Lo stato della follia, di Francesco Cordio


Sulla scia del risveglio del recente cinema documentaristico italiano, Francesco Cordio compie comunque una intelligente operazione che ha insieme le caratteristiche di denuncia civile e di consapevolezza della possibilità di modificare il dato reale filmandolo. Ma soprattutto ci ricorda che, al di là dei grandi numeri e dei gomitoli burocratici, il più grande delitto che si possa compiere verso un altro essere umano è quello di privarlo della libertà

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Lo Stato della Follia è un documentario su commissione che indaga il problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) ancora presenti sul territorio nazionale e nei quali sono recluse, in condizioni di vita subumane, circa 1500 persone.

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Francesco Cordio (classe 1971) attore, regista teatrale e cinematografico, non è alla prima incursione in questo genere. Già nel 2009 aveva proposto l'interessante Tutti giù per aria, una docufiction sulla drammatica vertenza dell'Alitalia. Poi nel 2010 su invito della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Sistema Sanitario Nazionale ha fatto penetrare l'obiettivo della sua macchina da presa dentro questo microcosmo d'orrore. La forza de Lo Stato della follia sta nelle immagini in presa diretta all'interno degli OPG: sembra di essere proiettati in un'altra dimensione, la camera a mano “pedinante” rende bene la concitazione e l'assurdità di quei luoghi, creando un patto empatico con lo spettatore. Urla disperate, proclamazioni di innocenza, pianti e singhiozzi, mani che penzolano inerti dalle sbarre, rassegnate, arrese al tempo. E ancora letti sporchi, brande corrose dall'urina e dalle feci, barelle per la contenzione che sembrano fuoriuscire da un trattato di tortura medioevale. 
E' folle voler curare la malattia mentale con la violenza fisica e psicologica: qualche malato resiste attaccandosi ossessivamente a una sigaretta, a un caffè, a una immagine sacra, alla speranza di rivedere i familiari; altri purtroppo abbandonano la partita suicidandosi, impossibilitati ad evadere da questo “ergastolo bianco”.
Sul modello de La pecora nera di Ascanio Celestini, viene sottolineato che la presunta pericolosità di questi malati possa diviene un alibi per rimuovere il problema e relegarlo nello spazio angusto di una lercia camera di sicurezza. Per mitigare lo shock delle immagini da eccesso di realtà, Cordio inserisce una cornice teatrale in cui l'attore Luigi Rigoni (che è stato veramente un “ospite” del manicomio criminale di Aversa) prova a narrare se stesso introducendo l'artificio della messa in scena. Come in Cesare deve morire dove la rappresentazione della tragedia portava alla totale identificazione teatro-vita e alla consapevolezza della propria reclusione (“da quando ho conosciuto l'arte, questa cella mi sembra una prigione”), Rigoni ribalta il punto di vista da oggettivo a soggettivo: si impunta, balbetta, dimentica le parole; così tutta la sofferenza di una condizione vissuta in prima persona viene portata in superficie e analizzata senza compiacimenti. Normale e anormale convivono e prendono forma nella recitazione.
La parte meno convincente  è quella dei lunghi brani della discussione in Parlamento sulla abolizione della legge: se è vero che risulta più chiaro l'iter legislativo e il percorso del dibattito, diminuisce lo stato di tensione morale che si era precedentemente creato con la forza di inquadrature naturalistiche.
Sulla scia del risveglio del cinema documentaristico italiano (due esempi su tutti Sacro Gra di Gianfranco Rosi e Con il fiato sospeso di Costanza Quatriglio), Francesco Cordio compie comunque una intelligente operazione che ha insieme le caratteristiche di denuncia civile e di consapevolezza della possibilità di modificare il dato reale filmandolo. Ma soprattutto ci ricorda che, al di là dei grandi numeri e dei gomitoli burocratici, il più grande delitto che si possa compiere verso un altro essere umano è quello di privarlo della libertà.

 

Regia: Francesco Cordio

Durata: 72'

Origine: Italia 2013

 

 

 

 

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