LOCARNO 66 – "L'étrange couleur des larmes de ton corps", di Hélène Cattet e Bruno Forzani (Concorso)

l'étrange couleur des larmes de ton corps
L'incipit  fa quasi sperare in nuova via per la rinascita di un genere fra i più sperimentali, in cui alla dissoluzione della trama fa da contraltare un notevole apparato visivo. Ma ben presto il film si perde nei rivoli di un delirio estetico che assembla riferimenti decontestualizzati a horror e thriller in un pastiche solipsistico

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l'étrange couleur des larmes de ton corpsI primi venti minuti di L'étrange couleur des larmes de ton corps, titolo programmaticamente evocativo di certe atmosfere del thriller italiani anni '70, fanno sperare che finalmente sia possibile trovare una nuova via per la rinascita di un genere fra i più sperimentali, che tanto ha dato in termini di creatività al linguaggio cinematografico.

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Hélène Cattani e Bruno Forzani, coppia di giovani autori francesi ormai residenti in Belgio – che vantano nel loro pedigree la menzione del film d'esordio Amer fra i migliori 20 del decennio secondo Quentin Tarantino – precipitano lo spettatore in un vortice di immagini estremamente lavorate: grandangoli, plongée, un uso espressionista delle luci che trova nelle splendide architetture liberty dell'edificio un corrispettivo del loro stile cinematografico.

 

All'esile trama destinata ben presto a dissolversi, fa da contraltare un apparato visivo di notevole fattura: ma se le prime sequenze di puro pathos – in particolare quella, perfetta, del delitto auscultato con lo stetoscopio e visto attraverso il buco nel soffitto affrescato con quadri di Mucha – ben presto il film si perde nei rivoli di un delirio estetico in cui finiscono assemblate citazioni più o meno testuali di Lynch, Argento, i corpi cyber di Tsukamoto e tanti altri maestri del genere horror e thriller.

 

Ma il lavoro d'accumulo è tale da finire con l'indebolire anche la riflessione sullo sguardo, ridondante con questi occhi barrati, duplicati dagli split screen, lavorati dal montaggio per analogia di forma con le spirali hitchcockiane e le vetrate floreali art nouveau. Così come la ripetizione infinita delle inquadrature, sembiante esteriore del pensiero deformato e ossessivo dei personaggi, che appare mutuata dalla circolare concezione del tempo orientale, spesso proposta dall'horror giapponese.
Selezionati improvvidamente, nonostante lo sfoggio di consapevolezza cinéphile, e decontestualizzati, i molteplici riferimenti del duo Cattet-Forzani finiscono col dare l'impressione di un esercizio di stile più propenso ad appagare l'ego dei suoi autori che non il pubblico, in una riflessione solipsistica di cui non si sente veramente il bisogno.

 

 

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    Un commento

    • Condivio film rindondante, compiacente sonstanzialmnte inutile. Se durava la meta aveva forse piu senso.