#Locarno68 – Diario dal concorso: O futebol di Sergio Oksam e Chevalier di Athina Tsangari

Nel concorso internazionale bella scoperta con il film del regista brasiliano mentre per la cineasta greca si tratta di un passo indietro rispetto ad Attenberg

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Nelle tracce disseminate del Concorso Internazionale, tra i recuperi prima della chiusura con la premiazione di domani sera, tra le belle scoperte del concorso c’è O Futebol di Sergio Oksam, cineasta brasiliano nato a San Paolo che ora vive a Madrid dove insegna arte cinematografica e dirige la Dok Films Production. Già regista di diversi documentari, tra cui A Esteticista (2004) e Goodbye, America (2006), in O futebol mostra un padre e un figlio (lo stesso regista) che non si rivedono da 20 anni. Si ritrovano il 13 aprile 2013 e si danno appuntamento per la Coppa del mondo di calcio del 2014 per rivedere insieme le partite come nel passato. Una ricerca di un’infanzia da ritrovare. Il rituale però scivola verso terreni più malinconici e pericolosi. Le partite vengono vissute dal fuori-campo: le tv con le immagini che si vedono in lontananza o lateralmente, la patzita seguita a casa o dall’esterno di uno stadio. L’audio della telecronaca copre i loro silenzi, i loro spostamenti i macchina dove vengono sono inquadrati da dietro. Tra battute fulminanti (“Perché la maglietta dell’Italia è azzurra quando la bandiera è bianca, rossa e verde?”) e una memoria che riemerge attraverso la ferra memoria del padre che ricorda la formazione del Brasile del 1954 e un album delle figurine con la formazione del 1974, una continua sovrapposizione temporale che sfoca anche la cocente sconfitta con La Germania per 7-1 e lascia spesso in evidenza gli oggetti come i segni della nostra vita. Sentito, partecipato, 68 minuti di struggente intimità, tra i vertici di un bel concorso.

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chevalierPer Athina Rachel Tsangari Chevalier rappresenta invece un passo indietro rispetto ad Attenberg, il film che aveva fatto vincere alla protagonista Ariane Labed la Coppa Volpi come miglior attrice. Sei uomini si trovano in mezzo al Mar Egeo in una spedizione di pesca su un lussuoso yacht. Decidono di iniziare un gioco dove iniziano una gara di paragoni tra loro. Da amici diventeranno sfidanti agguerriti e il vincitore otterrà l’anello della vittoria, lo Chevalier. Sulla linea di una cattiveria calcolata e tracce di un grottesco che sembra essere più ercato che definito, la Tsangari guarda compiaciuta alla propria autorialità attraverso una messinscena che cerca la continua chiusura, al limite della claustrofobia, come se si sentisse Polanski con Brach. I sei personaggi emergono più come volti. Le luci di Atene si avvicinano e il loro gioco cerca di tanto intanto di allentare la tensione attraverso una comicità straniata (la scena slapstick dove un fratello da gli schiaffi a quello piè debole) dove anche la componente ironica sembra solo il risultato di un altro gioco non venuto bene.

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