#Locarno69 – Mr Universo, di Tizza Covi e Rainer Frimmel

Covi e Frimmel riescono a camminare in equilibrio sull’esile filo che divide documentario e narrazione con la stessa apparente semplicità con cui il Mr. Universo del film piega il ferro

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Un ritorno affettuoso ai volti, ai luoghi e alle atmosfere de La pivellina, il piccolo film che aveva fatto  breccia nel cuore del pubblico festivaliero nel 2010. Tizza Covi e Rainer Frimmel fanno quello che molti autori, qui a Locarno, tentano di fare, mescolando riprese documentaristiche a costruzioni narrative, senza trovare spesso il giusto equilibrio tra le due impostazoni.

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Invece i due autori – anche produttori indipendenti con la loro Vento Film – al loro ritorno al Festival, dopo essere stati in Concorso nel 2012 con Der Glanz des Tages, riescono a camminare su questo esilissimo filo, con la stessa apparente facilità con cui Arthur Robin, il Mr. Universo del film, piegava il ferro negli spettacoli circensi facendo impazzire il pubblico.

Un’idea di cinema-vita che sempre più spesso avvince cineasti di ogni latitudine e che spinge a tornare sulle storie, per recuperare il tempo trascorso una volta spenta la telecamera e consegnata l’opera al buio della sala. Perché le storie non hanno mai una vera fine e oggi più che mai sembra esserci la necessità di circondarsi di volti familiari, come fedeli compagni di viaggio.

Ritroviamo allora Tairo Caroli, appena adolescente ne La pivellina, diventato, come suo padre, domatore di leoni in un circo malmesso, con i suoi amati felini che invecchiano o ammattiscono. Quello che rischia di fare anche lui quando perde (o gli rubano…) il ferro di cavallo porta fortuna forgiato da Mr Universo, Arthur Robin, in uno spettacolo visto tanti anni prima. Decide allora di partire per andare alla ricerca dell’uomo più forte del mondo, l’unico in grado di potergli dare un nuovo ferro-amuleto che ristabilisca un equilibrio nel suo mondo.

mr universo wendyMalgrado la macchina da presa apparentemente invisibile a pedinare il protagonista nel suo viaggio, Covi e Frimmel non si preoccupano affatto di celare i meccanismi narrativi della storia, che procede lineare e compatta, con atti narrativi scanditi e personaggi di contorno ben caratterizzati. Sembrano, anzi, trarre vigore dagli scarti tra stile e contenuto, tracciando una dichiarazione d’intenti per cui l’impalcatura narrativa classica viene a rafforzare la verità del ritratto documentario. In Mr Universo questo classicismo arriva addirittura a sfiorare quello di un testo chiave della “finzione” hollywoodiana come Il mago di Oz. Come la Dorothy Gale di Fleming, Tairo lascia un ingrigito circo-Kansas per andare alla ricerca del Mago, l’unico in grado di ridargli ciò che ha perso e di ricordargli che, nonostante tutto, “non c’è posto come casa”.

Nel mezzo c’è il ritratto affascinante e decadente di un mondo morente, quello circense, fra roulotte cadenti, pubblico inesistente, contorsioniste col mal di schiena – dolcissimo il personaggio di Wendy, che porta avanti una ricerca parallela a quella di Tairo, trovando nell’amore l’unico punto di ricongiunzione possibile…
In questo microcosmo incomprensibile se non dal di dentro, i due cineasti si muovono discreti, quasi partecipassero anche loro alla riunione di famiglia di Tairo, agli attimi di calore e affetto fra i membri di questo nucleo allargata e nomade, ma sempre presente, la cui solidarietà era stata già testata nel film del 2010. Con la fermezza di chi non ha bisogno di uno sguardo glaciale e immobile per raccontare un mondo. Diversi cineasti presenti al Festival dovrebbero imparare la lezione…

 

 

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