#Locarno70 – Il Monte delle Formiche, di Riccardo Palladino

Presentato in Concorso Cineasti del presente, Il Monte delle Formiche parte da un antichissimo evento naturale, da molti spiegato in chiave religiosa, per riflettere sull’attuale condizione umana

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Fenomeni naturali che avallano credenze religiose. Non che a Riccardo Palladino interessi ritrovare il patriarca ultimo, ma chi è anche lateralmente interessato alla ritualità, alla pregnanza del contingente in tutte le impalcature pseudo spirituali, saprà che il suo trampolino è solo uno dei tanti, almeno in partenza. ll Monte delle Formiche = Santa Maria Formicarum. Ogni anno, l’8 settembre, compleanno della Vergine, sciami di formiche alate giungono sull’altura ed esalano l’ultimo respiro. C’è addirittura un distico latino, sotto la statua della Madonna, che narra l’evento miracoloso.

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Se dovessimo fermarci ad una sterile analisi linguistica di quello che è il quarto documentario di Palladino, potremmo elogiarne l’impeccabilità manualistica, tant’è vero che la distanza tra pregevoli volumi di linguaggio filmico e il risultato da lui raggiunto equivale ad un passo di Achille. Sembra che la risposta finale, e non solo per chi guarda, sia un massiccio e, ammettiamolo, depressivo stato di impotenza. Le formiche, fatta eccezione per le operaie che appariranno nell’epilogo, e a quanto pare incarnazioni del nostro prossimo stadio evolutivo, vivono l’immortalità o mortalità collettiva. La paura della fine, ammesso che ne abbiano, e qui Palladino tenta la strada della risposta mulipla senza proporre uno sguardo individuale, quasi fosse terrorizzato dalla piega contemporanea, scema al cospetto di quegl’agglomerati cellulari che

974311cooperano nonostante la legge centrale, la fonte, sia più di un mistero. Nessuno, mai, gli negherebbe qualsiasi pessimismo, di qualsiasi corrente spirituale, religiosa, filosofica, ma la rassegnazione si traduce in nichilismo infertile, e invalidante per chi nutre il bisogno di domandare e non fa appello a questo o a quell’altro evento. L’immaginario religioso, richiamato in veste araldica, mostra la bellezza della comunità, di quell’aggregazione quantomai rara, soprattutto in situazioni metropolitane, dispersive e, triste a dirsi, infantili (vedi la scena dei bambini, l’unica a mostrare una certa speranza redentiva). L’animale aristotelico, e ci consentiamo il parallelo per il metalinguismo spinto di Palladino, trova in effetti la sua compiutezza, ma non nell’immagine, quanto nella malattia retorica del voice over che invita alla manovalanza sociale.

gif critica 2Ma potremmo anche negare l’ascesa al monte, l’esegesi della religione come pescatrice e unificatrice di uomini. Palladino infatti, verso la fine, si trascina via da quel santuario, lo ricopre di un grigiore post apocalittico, esattamente come quei passi incerti nella natura, bagnati da lacrime semi-silenti, spose di quella bandiera bianca già dispiegata. Forse la pace di quelle riprese individuali, quelle ragazze, donne, lontane dall’occhio, perse nella comunione con la Natura Madre, echeggiano di una socialità altrimenti introvabile e asciugano quelle lacrime onestamente dolorose, per chiunque.

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