#Locarno70 – The Big Sick, di Michael Showalter

La commedia prodotta da Judd Apatow si stringe attorno alla cerchia della stand-up comedy da cui prende tutta la leggerezza e la contemporaneità. Nella sezione Piazza Grande.

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Qualche tempo fa è cominciata a circolare la notizia dell’accordo che Amazon aveva raggiunto con quattordici comici indiani per la produzione di nuove stand-up comedy originali. Una mossa studiata a tavolino per annientare la concorrenza di Netflix che aveva appena aggiunto nella sua scuderia nomi come Luise C.K., Amy Schumer e Chris Rock. Da questa prospettiva non pare quindi così assurda la battaglia che Amazon ha combattuto fino alla fine per accaparrarsi la distribuzione di The Big Sick dove ad essere protagonista è proprio un comico naturalizzato statunitense. Le origini dell’attore, e co-autore della sceneggiatura, Kumail Nanjiani sono però pakistane, un paese ancora più soggetto ai pregiudizi soprattutto quando si tratta di matrimonio. Quella che racconta Nanjiani è infatti la storia sua e dell’attuale moglie durante i primi mesi di frequentazione quando all’ostacolo posto dalla differenza culturale, si aggiunge anche la malattia della ragazza che la costringe ad una settimana di coma.

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E’ proprio su questo essere contemporaneamente dentro e fuori l’America che punta la comicità di Nanjiani e che ne fa qualcosa non solo di originale, ma soprattutto di attuale. Un elemento in cui Amazon evidentemente ha visto le potenzialità per raccontare di un paese in lotta contro la semplificazione culturale dell’era Trump. Il più grande pregio di The Big Sick è infatti quello di evitare populismi a favore della veridicità, tanta quanta se ne ritrova in tutta la filmografia di Judd Apatow che qui figura nelle vesti di produttore. E’ dalla politica apatowiana che il regista prende infatti i tempi, le forme e le tematiche. Pare di riconoscere tra i personaggi di The Bick Sick quelli del recente Love, di Un disastro di ragazza ed ovviamente quelli di Funny People, aggiornati e riadattati ad un altro contesto. Questo non significa ridurre il film di Michael Showalter ad un derivato di altri prodotti, ma sicuramente il suo film si candida ad essere l’esempio più coerente di quanto una certa commedia americana stia diventando un universo compatto che si autoalimenta dall’interno.

The-Big-Sick

La cerchia creata intorno alla stand-up comedy, soggetto ed oggetto della nuova commedia statunitense (basti pensare che anche qui, come la recente serie tv Crashing di Pete Holmes, torna la figura del comico che dorme perennemente sul divano dei colleghi) diventa di fatto uno spunto per parlare continuamente di commedia mentre la si sta creando. Lo stesso personaggio di Nanjiani non fa altro che riflettere sul suo stile di comicità e quello degli altri mentre porta gli spettatori dietro le quinte dello spettacolo. Tra le file di questa leggerezza tipica di quello che comunemente viene classificato come indie americano c’è l’evidente tentativo di un’ autoanalisi e conseguentemente di un’autodefinizione. E’ come quando si cercano di capire le peculiarità che distinguono la propria famiglia, e la loro sembra dire: siamo gli autori che si spostano su Uber, che sono disposti a fare dell’ironia sull’11 Settembre e sull’Isis, che ammettono la goffaggine maschile di fronte alla nuova indipendenza femminile, che fanno della comicità improvvisandola sul momento.

Forse è proprio questo ultimo punto a caratterizzare The Big Sick al cospetto dei suoi parenti più prossimi. L’impressione, ed ovviamente è solo tale, è che non ci sia una struttura portante, quella che ha reso Apatow il capostipite di una generazione, e che invece ci si trastulli nell’ingenuità delle prime armi di prendere qualsiasi cosa accada (anche l’eventuale morte dell’amata!) e di trovarne il lato più leggero. Proprio come si fa nella stand-up comedy, appunto, dove si inizia a parlare di se e poi si trova il modo di riderne. Una leggerezza che però quando cala è capace di rendere il film anche commovente, accomunandolo d’altronde alla vita. E proprio a causa di questa vicinanza quasi fraterna che si viene a creare tra i personaggi ed i suoi spettatori che non si può non amarlo, anche quando si intravedono dei difetti. E’ come un amico che sale su un palco e si mette a raccontare con il sorriso le tragedie della sua vita, alla fine ti costringe ad applaudirlo.

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