#Locarno71 – Visioni dal Concorso Internazionale

Quattro dei quindici titoli del Concorso Internazionale del Festival Del Cinema di Locarno, quattro prospettive da quattro angoli di mondo per raccontare una realtà che assume molteplici volti

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Il Concorso Internazionale è come ogni anno sempre pieno di contaminazioni, di visioni, di cinema, da ogni angolo della terra, per offrire una prospettiva diversa, interessante, inedita del mondo. Di comune hanno certamente lo sguardo originale con cui cercano di esplorarlo e comprenderlo.

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M di Yolande Zauberman, già collaboratrice di Amos Gitai, gira un coraggioso documentario per le strade di Bnei Brak, in Israele, capitale mondiale degli haredi, gli ebrei-ultraortodossi, per raccontare le vicende di Menahem Lang, che da quella città è scappato a vent’anni per andarsene a Tel Aviv, lui cantante adorato per la sua interpretazione dei canti liturgici e la sua devozione, lui con il cuore è l’anima a pezzi per delle ripetute e prolungate violenze sessuali subite dentro la scuola talmudica. La Zauberman sceglie il dialogo con il protagonista per raccontarne il trauma, dal quale non è riuscito a liberarsi, anche a distanza di tanti anni. Una domanda dopo l’altra, nella trasposizione cinematografica di una seduta psiconalitica, la regista scava nel profondo, riporta a galla le ferite, ed insieme a Menahem torna nei posti della tragedia, sul luogo del delitto, rimasto identico e maledettamente inespugnabile. La prevalenza delle riprese sono in macchina, preferibilmente di notte, tra le strade piene di rabbini. In ognuno di loro potrebbe esserci un carnefice, qualcuno segnato dalla violenza che invece di fuggire, come ha scelto Menahem, è passato dall’altro lato dello steccato, per quello che sembra essere il costume della scuola, lasciare che i bambini si trasformino da vittime in potenziali pedofili.

Una storia talmente potente da lasciare ben poco spazio alla ricerca stilistica, con la macchina da presa che appare indiscreta sia nel riesumare le toccanti disavventure di M. sia quando si intrufola dentro la scuola, che lascia trasparire un forte senso d’isolamento da circolo chiuso ai profani.

A land imagined di Yeo Siew Hua è la storia di Wang, un operaio cinese scomparso da un cantiere di Singapore e di un detective, Lok, che si mette sulle sue tracce. Qui il regista rinuncia ai canoni tradizionali di scrittura, usa le immagini per presentare le condizioni di essere umani finiti ai margini, provenienti dal Sud-Est asiatico per sfuggire probabilmente a pessime condizioni di vita, per finire in un inferno che non è certamente migliore. Il film è costruita sulle solitudini, sulla rassegnazione e sul contrasto che si crea osservando un panorama costituito da imponenti impianti industriali, simbolo di un progresso e di un’occasione che a loro però non è stata ancora concessa e non lo sarà mai. Parla di sfruttamento del lavoro nero, della perdita dei diritti e dell’identità per mano di padroni senza scupoli esperti del ricatto. Un luogo desolante nel quale faticano a trovare posto l’amicizia o addirittura l’amore innocente, che non abbia forma di soddisfazione fisica e di turbamento sessuale, una realtà alienante che circonda di mistero la sparizione di Wang, risultato del suo essere testimone di un crimine o fuggito volontariamente da un abisso di miseria, tra reticenze e impossibili complotti. Nell’isola di Yeo Siew Hua i colori stessi impallidiscono, spenti quanto spente sono le speranze degli abitanti.

Ray & Liz di Richard Billingham, fotografo di fama internazionale, ha nell’utilizzo della luce uno dei suoi punti di forza, uno stile sicuramente riferibile in toto all’area nordeuropea e non solamente british. Si tratta di un film basato sui ricordi del regista delle sua infanzia nella periferia di Birmingham, il luogo dove è cresciuto e viveva insieme al fratello Jason ed ai genitori del titolo appunto, due alcolizzati incapaci di badare ai figli, con l’aggravante di essere egoisti e crudeli. Il portato sociale della storia porta immediatamente dalle parti del maestro Ken Loach, per le deficienze familiari dentro sobborghi urbani ritratti nel loro squallore, un universo fatto di abbandono che nel caso di Billingham diventa autobiografia, ed anche qui, come nel film della Zuberman, assistiamo ad una discesa nel cratere della memoria, per imbattersi nei ricordi finiti nell’oblio dell’inconscio. Lo stile quasi documentaristico della messa in scena puo anche richiamare alla mente Ulrich Seidl, ma è nei dettagli del flashback, che dilaga per buona parte del film, che il regista trova la cucitura con il presente, nella redenzione inconsistente dei protagonisti.

Ray & Liz di Richard Billingham

L’onda di pessimismo che si trascina dalle prime inquadrature, complice l’angustia dei posti, terreno fertile per far crescere il degrado umano, non cancella comunque delle precise responsabilità che alcuna situazione di indigenza permette di tollerare.

Regista, produttore, fotografia, montaggio, suono e sceneggiatura: Abbas Fadhel per Yara si è occupato di tutto questo in maniera egregia. Ambientato in una valle spopolata del nord del Libano, Yara è un film dalla sceneggiatura molto asciutta, la più classica e romantica storia d’amore (il primo incontro e l’imbarazzo, il desiderio, le delusioni), tema molto abusato, nella cornice di un paese musulmano. Yara, la protagonista, veste all’occidentale, come tutti gli altri personaggi, anche se l’aspetto è uno dei pochi punti di contatto con una ragazza adolescente europea o nordamericana. Morti i genitori, vive con la nonna, altra figura chiave di straordinario impatto visivo, in un posto lontano, senza usare un cellulare, ne averne il bisogno, ed appare serena e sorridente, nonche immune dai malesseri da sovrabbondanza. Molto pulito nelle inquadrature, lento, tanto quanto il mondo che va a mostrare, pur con un approccio molto minimalista, riempito dal suono costante della natura e dalla presenza degli animali (domestici e selvatici, alleati o nemici), trova spessore nei volti molto espressivi, nei dialoghi brevi ma molto efficaci, veritieri, semplice e puri come il sentimento universale che vanno a raccontare. E fanno apparire brillante ancora una volta una storia che solo toccando i tasti giusti puo essere ancora capace di entusiamare.

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