MANGA/ANIME – Una lettera per Momo

Una lettera per Momo

L'elaborazione di un lutto vista attraverso il rapporto con tre buffi spiriti della tradizione giapponese nell'acclamato lungometraggio in animazione tradizionale di un “giovane veterano” dell'industria nipponica: la storia di una rinascita e di un particolare sentire in grado di descrivere una notevole gamma di emozioni

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Una lettera per MomoNon può vantare ancora molte regie come i più acclamati maestri, ma a scorrere la sua filmografia, ci si rende conto che Hiroyuki Okiura non solo è nel giro da decenni, ma ha lavorato pure ai principali lungometraggi dell'animazione giapponese dalla fine degli anni Ottanta a oggi: è stato infatti supervisore dell'animatore in Akira, Metropolis, Paprika, Cowboy Bebop the Movie e assistente alla supervisione in Patlabor 2, dove ha lavorato fianco a fianco con il grande Mamoru Oshii. Sempre sotto l'ala del regista di Ghost in the Shell ha poi ottenuto la sua maggiore visibilità quando, nel 1999, ha diretto l'acclamato Jin-Roh, preludio però a un periodo di silenzio.

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Si è dovuto attendere il 2012, infatti, per l'uscita della sua più recente fatica, il lungometraggio Una lettera per Momo (traduzione fedele dell'originale Momo e no tegami) che segna per molti aspetti una maturazione e un affrancamento dall'ombra stilistica dello stesso Oshii. Un film che è costato 7 anni di lavorazione per la scelta, coraggiosa e in larga parte controcorrente, di limitare al mimino le scorciatoie concesse dalla computer graphic in favore di uno stile di animazione tradizionale, reso possibile dalla disponibilità e dalla professionalità garantite dallo studio Production I.G., che si è occupato della produzione.

 

La Momo del titolo è una bambina di 11 anni che si trasferisce insieme alla madre sull'isola di Shio, per vivere vicino ai nonni. Il trasloco è motivato dall'improvvisa morte del padre studioso della fauna marina, scomparso durante una spedizione in mare aperto. Ad aggravare la perdita c'è poi il senso di colpa: prima che il genitore partisse per l'ultimo viaggio, infatti, Momo aveva avuto con lui un brusco litigio e ora tutto ciò che le resta dell'uomo è una lettera a lei indirizzata, ma interrotta dopo la sola intestazione “cara Momo…”. La protagonista deve quindi passare per una necessaria elaborazione del lutto che si accompagni anche al desiderio di comprendere quali sarebbero state le ultime parole del padre prima di quella traumatica separazione.

 

Un simile canovaccio inserisce naturalmente il racconto nella corrente realistico-intimista che l'animazione giapponese recente dimostra di prediligere soprattutto nelle formi brevi delle miniserie o del film cinematografico (si pensi a La collina dei papaveri o Tokyo Magnitude 8.0). L'elemento spiazzate è dato dalla presenza di tre entità guardiane che si incarnano nella forma di buffi yokai (creature tipiche del folklore giapponese) e che solo Momo riesce a vedere dopo averle inavvertitamente toccate. A loro spetta non solo il compito di alleggerire la tensione, ma anche di costituire il viatico perché la bambina esca dal suo isolamento e si apra al confronto con l'altro da sé.

 

Momo e lo YokaiIn ragione di questa doppia natura realistica e fantastica, il film elabora proprio il progressivo avvicinamento di realtà altrimenti distanti: il dialogo “muto” fra Momo e il padre scomparso, lasciato all'elaborazione dei sensi di colpa e al latente senso di perdita che ammanta tutto il film, si riflette infatti nei continui tentativi della piccola di superare la propria ritrosia a formare legami con i coetanei dell'isola e anche con la stessa madre, che tenta di riprendere in mano i fili della propria esistenza e per questo spende molto tempo fuori casa (e che scopriremo essere anche afflitta da una forma cronica di asma). Queste esperienze “drammatiche” trovano poi il loro contrappunto nella buffa caratterizzazione degli yokai, dipinti come spiriti birichini e dotati di un insaziabile appetito, cui Momo deve insegnare le regole del vivere fra gli uomini, impedendo loro di rubare cibo e utensili vari dalle case dei vicini.

 

Okiura cerca di gestire questa materia con la stessa sofisticata naturalezza con cui tratteggia i poetici scenari dell'isola: l'autore cerca infatti una cifra stilistica personale che si distanzi sia dalle tinte pastello dell'ultimo Miyazaki che dai colori più brillanti e “pieni” di colleghi come Makoto Shinkai (si pensi al successivo Il giardino delle parole). Il tratto si fa così delicato e i disegni assumono una connotazione più tenue e discreta, non disgiunta comunque dalla fisicità garantita da un'animazione molto precisa e capace di rendere merito sia alla natura sfuggente degli yokai che all'impeto della natura: esemplari in tal senso sia l'uragano finale che colpisce l'isola che, soprattutto, la lunga e divertente sequenza in cui gli yokai (e la stessa Momo) vengono “braccati” da alcuni cinghiali decisi a riprendersi i cuccioli che le golose creature hanno rapito per mangiare.

 

Okiura scrive e dirige un progetto capace di risultare tanto intimo e "piccolo" quanto aperto a una notevole gamma di elementi emotivi, dove il senso di sconfitta e sfiducia nel futuro passa per una rinnovata voglia di trovare il proprio senso di appartenenza a uno spazio e un tempo incarnati dalla linea di discendenza e dalla tradizione: genitori e yokai descrivono perciò un perimetro in cui si gioca la partita di un singolo personaggio, ma anche di tutta una cultura, capace, grazie alle prospettive fornite da un particolare sentire animista, di dialogare con la morte in quanto parte della vita stessa e del fluire incessante del tempo. Okiura è lì per osservare la poesia insita in questo lungo intervallo e anche per questo il film, pur possedendo una progressione lineare e priva di particolari momenti morti, si ritaglia comunque i tempi necessari e i giusti intervalli contemplativi per reimparare a vedere il mondo che si snocciola davanti agli occhi della sua giovane protagonista.

 

Momo e sua madreAnche per questo i debiti che alcuni possono comunque rintracciare verso il cartooning dello studio Ghibli (la corsa finale sembra quasi una parafrasi di quella de Il mio vicino Totoro), la commistione di realismo e fantasia che nello stesso anno troviamo anche in Wolf Children o, magari addirittura verso la Disney (per il ruolo leggero dei buffi comprimari) non risultano limitativi del valore generale del film: al contrario, essi giocano un ruolo attivo nella dinamica di risonanze che Okiura cerca comunque con il passato e con la tradizione, pur all'interno di un percorso personale. La natura profondamente umana del racconto non rinuncia così a una più squisitamente teorica, resa evidente dal fatto che i tre yokai traggono le loro forme dai disegni antichi presenti nella soffitta di Momo e appartenuti a suo nonno.

 

Premiato in numerosi festival di settore (in Italia con il Future Film Platinum Grand Prize al Future Film Festival 2012), Una lettera per Momo è distribuito in Blu-Ray Disc e DVD da Dynit.

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