La morte di Mary Taylor Moore ci porta a riflettere non solo su una tipologia di intrattenitore/trice che si va estinguendo, ma anche su un format televisivo che oggi scarseggia a macinare consensi. La Moore nacque a Brooklyn (NY) nel 1936. La sua infanzia, come quella di moltissime altre celebrità, si incasella ad hoc nello standard turbolento/sofferto. Sua madre fu un’alcolista: una condizione che toccherà alla stessa attrice. All’età di diciassette anni decise di voler sfondare nel ballo ed iniziò a fare audizioni in California, stato nel quale la famiglia si era trasferita in blocco. Dopo qualche apparizione in spot pubblicitari, ottenne una parte nello show Richard Diamond Private Detective. A spiccare però non fu la bocca, che in effetti emetteva suoni e parole, ma le sue gambe snelle e sensuali. Cionostante, questo alone di mistero si trasformò in esca acchiappa-telespettatori di tutto rispetto. Fu poi guest star nel serial NBC di John Cassavetes, Johnny Staccato. Il set prescelto era un jazz club nel Greenwich Village dove il pianista/detective Cassavetes si riuniva con molti dei suoi amici musicisti.

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La svolta avvenne nel 1961 con il debutto nel Dick Van Dyke Show, un programma settimanale basato sulla vita privata e la carriera di Carl Reiner come scrittore del varietà Your Shows of Shows. Ogni episodio durava all’incirca trenta minuti e il successo fu immediato, tanto da assicurare la regolarità della Moore fino al ’66. La sua immagine divenne celebre non solo negli Stati Uniti. Oltre alle sue indiscutibili doti da cantante e performer, i suoi pantaloni in stile Capri divennero una moda irrinunciabile anche oltreoceano. Fu in effetti una delle prima starlette della tv a non essere confinata sulla mensola degli oggetti ornamentali. Le sue abilità vennero riconosciute e sfruttate per il buon andamento della trasmissione. Le sue esibizioni con Van Dyke ricordano molto i nostrani Mina e Walter Chiari, mantenendo invece la giusta distanza con i successivi caratteristi/maschere come Don Lurio o Rita Pavone.

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Nel 1970, con l’aiuto del marito Grant Tinker, riuscì ad ottenere uno spettacolo tutto suo dal titolo The Mary Tyler Moore Show. Qui l’attrice puntò sul cavallo giusto. Il suo ruolo verteva su una giovane donna trentenne che fugge a Minneapolis dopo una delusione d’amore: chance ideale affinché molte donne si affezionassero al suo personaggio smarrito e inguaribilmente romantico. Dopo sei anni nella top 20 del palinsesto della CBS, la serie precipitò. E nonostante uno zoccolo duro per niente disaffezionato, il Mary Tyler Moore Show fu costretto a chiudere i battenti.

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Vincitrice dell’Emmy per entrambi i format, l’attrice aveva inconsapevolmente delineato una tendenza, un modo di apparire al pubblico. La sua figura snella, sorridente, il suo essere “la ragazza della porta accanto”, “la fidanzatina d’America”, tutto avrebbe irrobustito il mattone su cui molte altre avrebbero basato la propria carriera, anche in Italia. I suoi lavori al cinema non furono molti, ma di certo va menzionato e sottolineato il ruolo in Gente Comune di Robert Redford, film che le valse la sua prima e ultima nomination all’Oscar nel 1980. Negl’anni successivi dovette far fronte all’incalzare dell’alcolismo, tuttavia riuscì a riprendersi e a vincere addirittura un Tony Award nel dramma Whose life is it anyway? 

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