Miloš Forman: Let the Sunshine In

Il nostro approfondito ritratto del regista scomparso il 13 aprile scorso a 86 anni, premiato con l’Oscar cme miglior regista per Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus

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“Un uomo non deve mai smettere di sognare e deve mirare più alto di dove sta.” Milos Forman

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Miloš Forman è stato sempre fuori dal coro e la sua voce aveva la tonalità inconfondibile di un uomo libero che aveva conosciuto le censure dei regimi totalitari. La vita lo aveva subito messo alla prova con la morte precoce dei genitori per mano nazista. Dopo i primi passi nel mondo del teatro che influenzano la sua produzione documentaristica, Miloš Forman aderisce alla Nová vlna cecoslovacca, movimento cinematografico che, pur prendendo spunto dalla Nouvelle Vague francese, se ne differenzia sia per la struttura narrativa che per le istanze sociopolitiche. Forman non è influenzato solo dalle opere di Godard e Truffaut, ma conosce molto bene il nostro cinema degli anni 60, quello meno reclamizzato di Olmi, Pietrangeli, Zurlini.

Il suo primo lungometraggio L’asso di picche (1964) è un lungo flusso di coscienza che racconta gli imbarazzi e i disagi della gioventù cecoslovacca degli anni ’60, tra balli e inseguimenti, ribellioni e paure. Premiato al Festival di Locarno, risente non solo della sensibilità truffautiana e dello sperimentalismo warholiano ma anche della poesia delle piccole cose de Il posto di Ermanno Olmi. Gli amori di una bionda (1965) conferma e rilancia a livello internazionale questo nuovo sguardo che parte dall’individuo per allargarsi all’ universale. Ancora forti le influenze di Olmi (I fidanzati), Zurlini (La ragazza con la valigia) e Tarkovskij (L’infanzia di Ivan). Il film ottiene la nomination per il miglior film straniero e il nome di Forman inizia a circolare con sempre più insistenza a livello internazionale.

La trilogia della Nová vlna si chiude con Fuoco ragazza mia! (1967) – conosciuto anche come Al fuoco, pompieri! un apologo gogoliano che nasconde dietro il velo del grottesco uno sguardo caustico e profetico sulla situazione politica della Cecoslovacchia di fine anni ’60. Da lì a poco la Primavera di Praga e Miloš Forman, per sfuggire alla dittatura comunista, riparerà prima a Parigi e poi negli USA dove inizierà la seconda fase della sua carriera.

Il primo film americano Taking Off (1971, Gran premio della Giuria al Festival di Cannes) è una commedia dai toni surreali che inquadra perfettamente il periodo flower power dei primi anni 70: sulle note dei figli dei fiori (si riconosce una giovanissima Kathy Bates) che invocano peace and love, Miloš Forman inserisce il controcanto stonato dei genitori che provano le canne e perdono i freni inibitori giocando a strip-poker.

Lo sguardo iconoclasta di Forman ha il suo trionfo nel 1975 quando Qualcuno volò sul nido del cuculo (dal romanzo omonimo di Ken Kesey) convince critica e pubblico e si porta a casa i cinque Oscar più importanti: film, regia, attore e attrice protagonista, sceneggiatura non originale. Sulle leggendarie note di Jack Nitzsche, Forman celebra il funerale della istituzione psichiatrica che si trasforma da potenziale aiuto curativo in strumento di repressione del sistema. L’interpretazione di Jack Nicholson esalta il potere sovversivo della pellicola che ribalta le posizioni tra persona sana e malata. La critica al sistema verrà ancora portata avanti con Hair (1979), un musical sulla guerra in Vietnam apparentemente fuori tempo massimo e che invece stupisce per l’equilibrio tra musica e immagini. Commovente il finale sulle note di Let The Sunshine In, mentre ai fotogrammi dei soldati che entrano nel ventre buio dell’aereo seguono le inquadrature delle infinite croci bianche dei cimiteri di guerra. Che la musica sia una parte fondamentale delle opere di Miloš Forman lo conferma il successivo Ragtime (1981) che è una riflessione storica sull’America dei primi del Novecento sotto le stelle del jazz, ma con l’ombra autobiografica di uno straniero in terra straniera alle prese con l’arroganza e la stupidità del potere.

Nel rapporto conflittuale tra genio e mediocrità si basa il capolavoro Amadeus (1984) che vince ben otto Oscar (film, regia, attore protagonista, sceneggiatura non originale, costumi, scenografia, trucco, suono) e affascina le platee di tutto il mondo. Miloš Forman stravolge il dato storico e, in una forma romanzata, imbastisce la sua dialettica preferita: il re dei mediocri Salieri (F. Murray Abraham) fa di tutto per ostacolare la genialità di Mozart (Tom Hulce), ma il tempo è galantuomo e dispensa l’immortalità al talento e l’oblio al potere repressivo/normalizzatore. Fotografato con la luce naturale, il film danza leggero al ritmo della splendida partitura mozartiana per arrivare a un finale commovente sulle note del Requiem.

Ancora un film in costume nel 1989: è Valmont tratto liberamente dal romanzo Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos e interpretato da Colin Firth, Annette Bening e Fairuza Balk. L’opera soffre molto la vicinanza dell’adattamento del romanzo di Stephen Frears uscito l’anno precedente con ottimi riscontri. Eppure lo stravolgimento dell’opera letteraria da parte di Forman va in direzione diametralmente opposta a quella di Frears, regalando un particolare spessore psicologico ai personaggi principali e sottolineando la perdita di purezza di una adolescente che entra nel mondo perverso degli adulti.

La carriera di Miloš Forman si arricchisce di altre due perle preziose come Larry Flint – Oltre lo scandalo (1996) e Man on the Moon (1999). Nel primo la biografia del boss della rivista Hustler diviene il pretesto per una lotta per la libertà d’espressione. Dietro l’immagine di una persona ambigua, volgare e apparentemente senza scrupoli si cela la fragilità di un uomo che vince le sue battaglie processuali per i diritti civili ma perde l’amore della sua vita. Orso d’oro al Festival di Berlino il film deve il suo forte impatto emotivo alle perfette interpretazioni di Woody Harrelson e Courtney Love. Ma è con la biografia del comico eretico Andy Kaufman che Forman crea un altro gioiello destinato ad impreziosirsi col tempo (Orso d’argento per la migliore regia a Berlino): il punto di partenza è la canzone Man on the Moon dei REM (dedicata da Michael Stipe al grande comico) e l’attore scelto per la performance è Jim Carrey, quasi un alter ego dello stesso Kaufman per spirito e filosofia. Lo stile anticonvenzionale diventa un grimaldello che scardina i rapporti tra realtà e fantasia fino al momento in cui persino la morte viene trasformata in un surreale karaoke. Nella scissione schizoide tra Andy e la sua nemesi Tony Clifton, Forman esteriorizza il rapporto ambivalente dell’artista con il suo pubblico, in bilico tra licenze poetiche e necessità di sopravvivenza. Dopo una pausa di sette anni, Miloš Forman gira L’ultimo inquisitore (2006), un romanzo storico sull’oscurantismo e l’inquisizione spagnola dando corpo ai fantasmi che aleggiavano nei quadri del maestro Francisco Goya. E’ facile trovare un parallelismo tra il periodo di repressione comunista negli anni 50 a Praga e il clima politico che si venne a creare in Spagna nel 1808 con l’invasione delle truppe napoleoniche. L’ultimo inquisitore rimane l’ultimo lungometraggio: la degenerazione maculare della retina dell’occhio destro blocca Miloš Forman e lo tiene lontano dal set. E poi, e poi aprile è il più crudele dei mesi. Ma guardando indietro non possiamo che ammirare un percorso artistico sempre coerente con la propria poetica e ispirazione. Tutti i suoi personaggi sono in fondo delle personalità atipiche che lottano contro il sistema per sopravvivere; a volte vincono, a volte soccombono ma trovano sempre un Grande Capo che si preoccupa di una onorevole sepoltura. Puoi chiudere gli occhi adesso, Miloš, Let the Sunshine In.

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