Mission: Impossible – Fallout, di Christopher McQuarrie

La sensazione è una normalizzazione progressiva delle avventure di Ethan Hunt, che rischia di mancare così il contatto con qualsiasi riflessione su segni e messinscena, ovvero l’unicità della saga

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A guardarsi indietro, il piano di J.J. Abrams, regista del terzo episodio e poi produttore della saga con la sua Bad Robot da Protocollo Fantasma ad oggi, sembra a questo punto definitivamente riuscito, proprio come una delle macchinazioni ordite dal nostro Ethan Hunt. De Palma e Woo avevano smantellato il modello di partenza della serie di Bruce Geller, di fatto veicolando attraverso la neutralità dell’icona-Cruise una serie vertiginosa di astrazioni cinetiche e cinefile portate al grado di ebollizione. Al suo turno, Abrams si è preoccupato a partire da Mission: Impossible III al contrario di ristrutturarne la formula, che fino ad allora pareva lasciata alla libera interpretazione dell’autore, per renderla replicabile e espandibile come piace a lui, intrecciata e multitasking, dialogante e modulare.
La sottotrama della moglie di Ethan, nuovi personaggi fissi e recuperi per la squadra (che invece lo script di Towne per il primo film coraggiosamente disperdeva), antagonisti che ritornano in vesti differenti: in questo, Abrams ha finalmente trovato il complice perfetto in Christopher McQuarrie, l’esecutore cruisiano che adora tanto quanto lui le storie arzigogolate con i colpi di scena carpiati, i plot twist ad inganno, i meccanismi perfetti ed inscalfibili.
Brad Bird aveva tentato, nella quarta puntata (una delle vette assolute del cinema hollywoodiano del decennio), una sorta di abissale virtualizzazione dell’immagine come unica alternativa possibile al nuovo canone spionistico ultra-fisico e performativo dei Bourne e dei Bond di Daniel Craig. Ma il penultimo Rogue Nation raccontava al contrario proprio del settaggio definitivo di McQuarrie e Abrams per una ricetta dosata e sintetizzata, adesso pronta a un percorso tutto nuovo, e in direzione sensibilmente opposta. Davvero, quasi un reboot.

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E infatti Fallout ricomincia da 5 senza neanche bisogno di recap, Ilsa Faust, Solomon Lane e Alan Hunley sono di nuovo della partita, che si gioca tra Berlino, Parigi e l’immancabile Londra (ancora una volta centro nevralgico del blockbuster di questa generazione). I mirabolanti stunt verticali di Cruise coinvolgono guglie, torri e tetti delle metropoli mentre le trame, i doppiogiochismi e gli estenuanti sotterfugi (ce n’è sempre almeno uno di troppo) si ordiscono nei sotterranei, nei tunnel, nei cunicoli e nei condotti fognari di queste capitali gotiche, manco fossimo in un film de La Mummia (questi eroi cruisiani iniziano a somigliarsi un po’ tutti, d’altronde pure il film di Kurtzman ha McQuarrie tra gli sceneggiatori).

Gli esperimenti dei Mission: Impossible sono sempre stati degli ipertesti fondamentali per intuire in anticipo traiettorie e modalità del cinema hi-tech del XXI secolo, ma adesso questa urgenza cruciale potrebbe aver lasciato irrevocabilmente il posto ad una ben più accessoria volontà di autoriferirsi, che manca così il contatto con qualsiasi riflessione su segni e messinscena (o forse dobbiamo farci bastare l’inseguimento in corsa nel torrione della Tate?).

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A riprova di questo, la constatazione che la montagna di storytelling complesso orchestrata da McQuarrie figli, alla fine, il più classico dei countdown a perdifiato per disinnescare le testate atomiche armate per esplodere in location innevata (il ghiacciaio Siachen dell’Himalaya), manco fossimo in un Fast & Furious qualsiasi, con la resa dei conti in elicottero e lo scagnozzo invincibile e palestrato Henry Cavill.

Chiariamoci, Fallout è comunque con ogni probabilità il film migliore diretto da Christopher McQuarrie ad oggi per ritmo, attenzione ai personaggi (lo spazio riservato a Simon Pegg subisce un po’ l’approfondimento dedicato stavolta al Luther di Ving Rhames) e orchestrazione delle sequenze d’azione. Eppure, la sensazione (forse in certa misura inevitabile, al sesto titolo) è quella di una normalizzazione progressiva delle avventure di Ethan Hunt, con il rischio che questa ossessione per trasformare anche questo franchise in un “universo” (a quando lo standalone dell’irresistibile Ilsa Faust di Rebecca Ferguson, allora?) ne renda i risultati tristemente interscambiabili, per la gioia del pubblico bingewatcher.

Titolo originale: id.
Regia: Christopher McQuarrie
Interpreti: Tom Cruise, Rebecca Ferguson, Alec Baldwin, Henry Cavill, Angela Bassett, Vanessa Kirby, Michelle Monaghan, Simon Pegg, Sean Harris, Ving Rhames, Joey Ansah
Origine: USA, 2018
Distribuzione: Fox
Durata: 147′

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