Most Beautiful Island, di Ana Asensio

Most Beautiful Island è un film sin troppo ambizioso e debitore dei suoi modelli, ma che rimane comunque impresso nella memoria dello spettatore come oggetto misterioso e imprevedibile

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New York, oggi. Luciana è una ragazza spagnola in fuga da un doloroso passato – la perdita improvvisa di una persona cara di cui si sente responsabile – e in cerca di denaro per sopravvivere sfuggendo alle sue ossessioni e ai pericoli della metropoli. Most Beautiful Island è l’esordio da regista per l’attrice spagnola Ana Asensio (che, come il suo personaggio, risiede da qualche anno nella Grande mela) con un low budget movie che parte da spunti già ampiamente sperimentati (un giorno intero della vita di una persona), ma sa sorprendere strada facendo. Girato in 16mm, interamente con macchina a mano, tanto per sottolineare ancora di più un approccio stilistico che non nasconde mai i suoi alti modelli di rifermento: John Cassavetes come grande faro del cinema indie newyorkese, poi i fratelli Dardenne come “nuovo realismo” europeo contemporaneo, sino a scivolare pian piano in umori perturbanti tra Polanski e Cronenberg. Insomma un costante pedinamento del personaggio che ci restituisca le emozioni più intime solo attraverso le sue azioni contingenti. Presupposti molto ambiziosi, è evidente.

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Ma cosa vediamo? L’odissea umana e professionale di Luciana, che per racimolare i soldi dell’affitto deve fare i lavori più disparati: dal volantinaggio vestita da pollo, alla baby sitter di bambini ricchi e viziati, attraversando una metropoli bellissima e spietata che non perdona chi non ha un’assicurazione medica. La giornata della donna, però, ha una svolta quando una sua amica modella (anch’essa immigrata da poco a New York) gli propone un misterioso party dove poter guadagnare facilmente molti soldi solo per essere guardata… Inizia così la seconda parte del film. Gli spettri lavorativi e intimi di Luciana (che sin lì erano stati sublimati nel costante movimento) si coagulano in uno spettrale scantinato dove non sono ben chiare le regole d’ingaggio. Ana Asensio dilata i tempi e gioca con la suspense, innerva i codici del genere giocando col fuori campo. L’intento è nuovamente quello di aderire alle percezioni del personaggio che sappiamo essere alterate dal senso di colpa. Luciana si trova ora in compagnia di molte altre ragazze impaurite – tutte immigrate europee in cerca di visto, interessante spaccato sociologico sulla New York attuale –, vittime di un voyeurismo esasperato e poi di spaventose scommesse con la morte.

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Le due parti del film hanno rime interne molto evidenti e sottolineate, ma mai invasive. Luciana viene lentamente inghiottita dai suoi fantasmi interiori in una lenta elaborazione del lutto che parte da un racconto sociale e realista e pian piano scivola negli umori del thriller malato e ossessivo. La land of dream americana filtrata da occhi europei, allora, oscilla nuovamente tra la speranza di redenzione e la pericolosa tentazione.
Insomma Most Beautiful Island è un film sin troppo ambizioso e debitore dei suoi modelli, che non riesce sino in fondo a dispiegare tutto il potenziale emotivo che promette, ma che rimane comunque impresso nella memoria dello spettatore come oggetto misterioso e imprevedibile, disturbante e affascinante nel contempo. La tensione epidermica degli ultimi venti minuti non si dimentica facilmente. È un occhio registico molto interessante quello di Ana Asensio.

Titolo originale: id.
Regia: Ana Asensio
Interpreti: Ana Asensio, Natasha Romanova, David Little, Nicholas Tucci, Larry Fessenden, Caprice Benedetti
Origine: USA, 2017
Distribuzione: EXIT Media
Durata: 87′

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