Mouchette. Tutta la vita in una notte, di Robert Bresson

Realizzato subito dopo Au hasard Balthazar riprendendo il tema della predestinazione. Ancora un film che aspira al trascendente e al misticismo. Da oggi in sala in versione restaurata

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Il campo del cinema e il campo dell’indicibile.
Robert Bresson

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L’anno immediatamente successivo all’uscita di Au hasard Balthazar (1966), Robert Bresson sentendo di non avere esaurito i temi già sviluppati nel film precedente, si rivolge ancora una volta alla narrazione di Georges Bernanos, lo aveva già fatto per Diario di un curato di campagna (1951) e realizza Mouchette. Tutta la vita in una notte, che uscirà nel 1967. Oggi la Cineteca di Bologna con rispetto filologico del sentire del regista lo riporta in sala dopo l’accurato restauro, insieme al film precedente con cui costituisce un dittico.
Il film è una fedele trasposizione del lungo racconto di Bernanos in cui lo scrittore riesce a

Mouchette, 1967fare confluire quel realismo soprannaturale di cui si innamora Bresson, ma al contempo il suo racconto è costruito sulle fratture narrative costituite da un proprio monologo interiore ovvero dal riportare le sensazioni di Mouchette in una specie di soggettiva, privata però di qualsiasi compassionevole sentimento. È quindi una struttura che sembra perfettamente aderente alle istanze di Bresson che ancora una volta ritrova in questo scrittore una specie di proprio alter-ego. Slegare quindi l’operazione cinematografica di Bresson dal racconto di Bernanos è operazione arbitraria, non solo per la coincidenza di temi tra i due autori (che cosa sarebbe altro se non questa la ragione per cui due dei film del regista francese, sono tratti dalle opere del coevo scrittore?), ma anche perché perfino sotto il profilo stilistico le loro strade convergono. Se la frammentazione del racconto è un criterio cardine del narrato bressoniano, anche in Bernanos si trovano i tratti di quelle interruzioni narrative che rompono parzialmente la tradizione del romanzo e sembrano contraddire le ascendenze letterarie dello scrittore che si ritrovano nella commedia umana balzachiana e nella moralità dello sguardo di Mouchette_3Doestoevskij che resta figura centrale per ogni tradizione che accetti il trascendente nella quotidianità. Bernanos traduce questa esigenza spirituale nel realismo soprannaturale che diviene uno dei temi sui quali lavora l’opera e la sensibilità attenta di Bresson. Al regista non era sfuggita la figura controversa e insicura del curato di campagna e non poteva, sedici anni dopo sfuggirgli la povera figura di Mouchette, vero e proprio animale selvatico che così come appare nel racconto Nuova storia di Mouchette si manifesta nel film.
Asciugato dai dialoghi e ridotto ad una esemplare essenzialità, Mouchette sembra stabilizzare i temi di Au hasard Balthazar ponendo al centro non un animale con la sensibilità umana, ma una ragazzina dalla sensibilità animalesca. Un personaggio selvatico che ci riporta alla mente l’indimenticabile Rosetta dei fratelli Dardenne.
Mouchette somigliava ad un giovane gatto in agguato … scrive Bernanos e la giovane Nadine Nortier, vero talento la cui luce ha brillato solo per questo film, corrisponde perfettamente a questa descrizione contribuendo a caricare l’opera di segreta rabbia e di malinconica certezza per un destino indissolubile dalla stessa esistenza. Servirebbe un capitolo a parte per entrare nel tema del lavoro che Bresson metteva inMouchette_5 pratica con i suoi attori alla ricerca e attraverso quello che egli stesso chiamava Modello. Si tratta di qualcosa che va al di là della recitazione priva di psicologia. È invece la ricerca di quegli automatismi della coscienza che apre varchi inattesi che arricchiscono non solo l’attore, ma anche il regista.
È forse proprio questo sotterraneo e invisibile filo che restituisce la misteriosa sensibilità di questa ricerca che ci fa comprendere sin dall’avvio che Mouchette, come accade sempre nell’opera di Bresson, non è semplicemente la storia di una ragazzina che vive in un ambiente sordido tra l’insensibilità del padre e del fratello, la madre morente e un fratellino in fasce bisognoso di maggiori attenzioni di quelle che lei possa dedicargli. Il film e il lungo racconto da cui è tratto, approfondiscono tutta quella congerie di temi che ci riportano alle questioni bressoniane e nel contempo alla visione fatalista del regista che attraverso la storia della ragazzina torna a suggerirci dell’inevitabilità del destino.
Mouchette, NortiereQuindi nessun atteggiamento di compassionevole commiserazione verso la miseria della giovanissima Mouchette, ma neppure freddezza di sguardo. La cifra stilistica di Bresson sembra fondarsi proprio su questa misura, su questa giusta distanza tra l’oggetto e la macchina da presa. Il realismo di Bresson sembra trasfigurato dal cinema, resta reale, ma assume i contorni di una sovrapposizione del reale. In questo senso diventa cruciale la lunga sequenza della violenza subita dalla ragazzina ad opera di Arsène personaggio trait d’union tra questo film e il precedente. Tutta la sequenza, che si svolge all’interno di un capanno per ripararsi dalla pioggia, assumerà nei toni del racconto di Mouchette sembianze oniriche, in cui la realtà sarà lievemente deformata, proprio come spesso accade nel sogno. La pioggia diventerà un ciclone e anche il guardiacaccia che Mouchette crede sia morto, non lo sarà e l’indomani mattina si scoprirà che non è neppure ferito. Bernanos scrive: Un sogno. Essa non è stata nemmeno vittima di un Mouchette_1uomo, ma di un sogno. Bresson resta fedele al suo autore e preordina una sequenza in cui il realismo di fondo si colora dei toni sottilmente eccessivi della visione onirica senza mai superare l’invisibile barriera che divide il sogno dalla realtà. In questo personale e silenzioso lavoro su una realtà solo leggermente alterata, troviamo uno dei segreti dell’arte di Bresson, quel piccolo (ma forse grande) mistero dell’indicibile che appartiene al suo cinema e probabilmente ne costituisce origine primaria. L’indicibile bressoniano sembra superare perfino il generale concetto che sta al di fuori di ciò che la parola non riesce ad esprimere e che le immagini si incaricano di suggerire, è parte di quella misteriosa trascendenza che traduce la purezza di intenti ed è la ricerca di un misticismo quotidiano (il realismo soprannaturale di Bernanos?) in virtù del quale le scarne ed essenziali immagini del film, per questo insostituibili, si arricchiscono di un significato superiore. Scriveva il critico francese Jean – Luois Bory a proposito di Mouchette_6Bresson: Egli cancella, toglie il tremolante dal tratto, il dettaglio che ingrossa, l’eccesso di colore che abbaglia e perciò impedisce di vedere. Egli sogna di raggiungere il sereno vigore del tratto semplice, unico, necessario, insostituibile come Matisse. Questo lavoro di semplificazione rende anche i sentimenti dell’uomo espressi nella loro autentica forma ed è per questa ragione che il cinema del regista francese possiede una naturale propensione verso la purezza questa aspirazione si trasfonde nei suoi film e Mouchette con la sua rabbia incontrollata, la sua felina forza interiore, esprime con limpida espressività lo stato di grazia del suo autore.
Poi, alla fine il suicidio di Mouchette. In verità anche qui l’indicibile si fa strada nella luminosa sequenza finale in cui la scena sembra confondere lo spettatore preavvertito dal rincorrersi dei segni di morte che Bresson ha disseminato per stringere la sua giovaneMouchette, 1967_1 protagonista in un imbuto senza via d’uscita (i cacciatori, gli spari, la lepre morente ….). Il gioco di Mouchette diventa la sua stessa esecuzione ed è questa l’ennesima forma in cui si manifesta il destino, una sorte scritta ma forse salvifica per la giovane Mouchette. Bresson dopo avere aperto il suo film con il Magnificat di Monteverdi, chiude sulle stesse note la vicenda esistenziale della sua giovane protagonista. È proprio il Magnificat, canto di ringraziamento al Divino per eccellenza, a suggerire questa lettura salvifica del finale in cui è adombrato il suicidio. Si manifesta qui quell’impotenza della parola che Bresson affida alle immagini e alla musica, trasgredendo gli insegnamenti religiosi e cristiani anche se modulati dalle sue più radicate convinzioni filosofiche. A questo proposito egli stesso indica il senso della sua scelta: Non è musica di sostegno o di rinforzo, essa precede conclude. Avvolge il film di cristianità. Era necessaria.

Titolo: Mouchette
Regia: Robert Bresson
Interpreti: Nadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal, Paul Hebert, Jen Vimenet.
Distribuzione: Cinema Ritrovato – Cineteca di Bologna
Durata: 78’

Origine: Francia, 1967

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