Nausicaä della valle del vento, di Hayao Miyazaki

Il film che fonda l’immaginario del regista giapponese è anche quello che più parla della fine, in un gioco di estremi dove a contare è soprattutto il turbinare di emozioni che si trova nel mezzo

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La fine del viaggio, che poi è anche il principio: perché, per le particolari dinamiche della distribuzione, Nausicaä della valle del vento è l’ultima delle pellicole classiche di Hayao Miyazaki ad arrivare nei nostri cinema, pur trattandosi dell’opera fondativa della sua poetica. Non la prima – quella è Lupin III: Il castello di Cagliostro, senza dimenticare i trascorsi televisivi di Conan il ragazzo del futuro e tanto altro – ma proprio quella che sancisce la svolta, la volontà di passare da una dimensione più “industriale”, di subalternità rispetto a un immaginario derivato da opere altrui (o dalle logiche più stringenti del seriale), a un universo proprio.

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Tutto parte dal titolo, quindi, dove è già interessante notare come quel vento che ricorre nella sua opera terminale sia un punto fermo anche qui: qualcuno un giorno dovrà magari riflettere sul fatto che i titoli miyazakiani presentino quasi sempre dei luoghi, dal Castello nel cielo a La città incantata, dalla scogliera di Ponyo, fino al gesto dello spostarsi del Castello errante di Howl, che presuppone l’esserci e il muoversi in uno spazio definito. Così è la terra postatomica in cui vive Nausicaä , universo straordinariamente immaginifico ma sorretto da implacabili regole cui gli uomini devono relazionarsi. Lo fanno con difficoltà, schiacciati dal peso della memoria distruttiva che ha mutato il mondo nei sette giorni di fuoco, ma il loro diventa anche un percorso di rinascita e speranza. Due estremi, simboleggiati dalla figura stessa della protagonista, empatica nei confronti della natura come la Lana del già citato Conan il ragazzo del futuro, eppure ancora distante dalle bambine-adulte miyazakiane: al contrario lei è quasi una adulta-bambina, procace nel fisico eppure lieve come il vento che le permette di volare e diventare così pienamente affine alle icone aeree dell’autore (come Kiki o Porco Rosso).

In questo dualismo sta dopotutto anche la sfida etica e politica di un’opera che esplora soprattutto il durante, il turbinare di emozioni che sta nel mezzo: non l’Apocalisse che è già alle spalle, non la rinascita affidata a un miracolo che prelude alla chiusura del racconto, ma la fase intermedia in cui la follia è più dilagante e la barbarie della guerra prende progressivamente terreno e si fa asfissiante, impossibile da arrestare, quasi che l’uomo possa salvarsi solo dopo che ha affrontato tutta la sua discesa nel profondo dei luoghi oscuri dell’animo. Nausicaä stessa è duale, quindi: incarna l’ideale di un rapporto paritario e sincero con la natura, è figlia del Miyazaki utopista che ha combattuto le battaglie sindacali negli anni turbolenti della Toei, ma allo stesso tempo cova il germe di una rabbia che la rende letale, come accade nel primo scontro con gli invasori, rei di averle assassinato il padre. Qui c’è lo snodo, il passaggio dall’animazione all’opera d’autore: Miyazaki non rinnega la mostruosità che pure è insita nel mondo e che si riflette non solo negli atti dell’uomo, ma anche negli insetti mostruosi e nei Soldati Titano distruttivi. Il suo lungometraggio affonda per questo in una cupezza diffusa, che troveremo soltanto poche altre volte nella sua opera (nell’ideale film-corrispettivo di Principessa Mononoke o ne Il castello errante di Howl), sembra quasi affascinato dalla messinscena della distruzione, anche se nello stesso tempo sogna altro, la figura messianica in grado di riportare l’equilibrio, l’armonia Uomo-Natura, il gesto di riconciliazione, la catarsi. Che poi è l’architrave di ogni epica che si rispetti.

A rivederlo oggi dopo trent’anni o poco più, Nausicaä della valle del vento è infatti anche la matrice del primo Miyazaki più narrativo e meno astratto: più vicino al Castello nel cielo che a quello di Howl, insomma, e per questo è un racconto grandioso, sorretto da un ritmo incalzante che dona alla progressione un crescendo sempre più “pieno”, capace di passare dalla rarefazione delle scene iniziali nella foresta inquinata al fragore della battaglia finale. Ma è anche un’opera dove si racchiude il passato e il futuro dell’animazione, il punto d’arrivo di una scuola che ha i suoi alti rappresentanti in gente come il designer Kazuo Komatsubara, punta di diamante della serialità Toei di un decennio prima (da Devilman a Capitan Harlock) o l’animatore Yoshinori Kanada (autore di indimenticabili giochi di luce in Candy Candy o Galaxy Express 999). Sarà anche per il loro apporto che Nausicaä della valle del vento ha un sapore più materico e quasi cyberpunk, completamente addentro alla visualità degli anni Ottanta, con tratti più marcati e quei cromatismi che oscillano fra il verde più scuro, il marrone e l’azzurro quasi elettrico, mentre le geometrie descritte dalle esplosioni e la sacca embrionale tecno-organica del Soldato Titano sembrano quasi una prefigurazione di Akira; e poi c’è il dopo, rappresentato da Hideaki Anno, giovane animatore che esploderà dieci anni più avanti con il fenomeno Evangelion. Il passato diventa quindi davvero il futuro, la fine che è anche il principio: il cinema di Miyazaki è certamente fatto di luoghi, ma anche di tempi e intervalli all’interno dei quali cercare il terreno di confronto fra i vari sentieri dell’umanità.

Una nota a margine, infine, per ricordare che il film aveva già avuto una limitata distribuzione italiana nel 1988, grazie a una pionieristica trasmissione Rai nell’ambito dell’eccellente contenitore per ragazzi Big!: per il passaggio in sala, Lucky Red ha approntato una nuova traduzione e un nuovo doppiaggio. Miyazaki, dal canto suo, ha ampliato la storia nella versione a fumetti, terminata soltanto nel 1995 (in Italia l’ha pubblicata Panini/Planet Manga).

Titolo originale: Kaze no tani no Naushika
Regia: Hayao Miyazaki
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 116′
Origine: Giappone 1984

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
3.67 (3 voti)
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