Né Giulietta, né Romeo, di Veronica Pivetti

Un’orchestra di personaggi tagliati con l’accetta a cui purtroppo manca un’idea di cinema che sappia sfuggire dalle stereotipie e smarcarsi verso emozioni genuine

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Veronica Pivetti esordisce alla regia. In un film. Ecco: giusto qualche giorno fa, in conferenza stampa, lei stessa sottolineava “so benissimo che i miei ruoli televisivi probabilmente scateneranno pregiudizi nell’accoglienza di questo mio primo film, ma fa parte del gioco”. E forse questo è inevitabile, forse persino comprensibile per un’attrice che ha costruito la propria dignitosissima carriera (quasi) tutta sul piccolo schermo. Riteniamo, però, che non sia affatto questo il punto. Perché pur essendo Né Giulietta, né Romeo evidentemente intriso di stilemi narrativi e registici tipici del linguaggio seriale italiano, beh, in linea di principio non c’è nulla di male: avere un proprio pubblico di riferimento è semmai un pregio e una fortuna per un regista. Per parlare di questo film, allora, bisogna partire innanzitutto dal cinema e dalle complessità che vuol “configurare” attraverso il cinema. Famiglia, adolescenza, rapporti genitori-figli, scoperta della propria identità sessuale, omosessualità, microcosmi sociali, omofobia e infine la Scuola come calderone dove tutto si mescola ed esplode. La chiave è quella della commedia “lieve” che nonostante le placide atomosfere borghesissime in cui è ambientata vuole accendere i riflettori su problemi sociali e “diritti civili” sui quali è sacrosanto riflettere.

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E allora: il protagonista è un adolescente, 16 anni, che vive con la madre giornalista e vede ogni tanto il padre (una sorta di psicanalista star con varie comparsate in Tv). La sua vita cambia quando pian piano si rende conto di essere attratto da un ragazzo della sua età, matura una consapevole identità sessuale e si pone il problema di come dirlo ai genitori e di come gestire la cosa con i suoi amici. E sin qui tutto bene. Si riconosce alla Pivetti un coraggio di (ri)mettersi in gioco e una sincerità di fondo che non sono in discussione. Il problema del suo film, però, è che riduce ogni complessità a convenzioni talmente tanto riconoscibili e riconosciute da non lasciare scampo a una riflessione postuma nello spettatore. Il compagno di scuola bullo e sadico, il padre psicanalista ex sessantottino e omofobo (che scrive testi come L’Es e l’Io…!), la nonna “fascia” che parla solo per slogan, l’amica scaltra con madre hippi new age, l’amico un po’ ingenuo ricco di famiglia, infine il protagonista per cui si cita strategicamente “Holden” e che scappa di casa per inseguire il suo cantante preferito. Un’orchestra di personaggi tagliati con l’accetta a cui purtroppo manca un’idea di cinema che sappia sfuggire dalle stereotipie e smarcarsi verso emozioni genuine e non indotte dalla parola giusta detta al momento giusto o allo snodo narrativo sempre strategico per un cambiamento. Pensiamo invece a quella piccola/grande commedia che è Gramdma di Paul Weitz, dove l’equilibrio tra giovani e adulti è continuamente ribaltato e rovesciato e dove il gioco sugli stereotipi si trasforma in un delicatissimo cortocircuito con la vita che apre voragini di emozioni. Forse è questo il punto: qui alla lunga risulta tutto troppo scritto, troppo atteso, troppo rispettato e troppo timido per colpire lo spettatore facendolo divertire e/o pensare… il film procede così senza grossi scossoni verso la conclusione. The End.

 

Regia: Veronica Pivetti
Interpreti: Veronica Pivetti, Corrado Invernizzi, Sara Sartini, Francesco De Miranda, Pia Engleberth, Carlina Torta
Distribuzione: Microcinema
Durata: 104′
Origine: Italia, 2015

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