NERO/NOIR – Detective Marlowe’s Blues

Come un dolente blues uscito da un vecchio vinile di Willie Dixon, le parole disincantate di Philip Marlowe ci fanno sentire la desolazione che abita la grande metropoli americana. Ma se vogliamo avvicinarci alla sua immagine l’unica strada che ci resta è quella di seguire con fede il volto dell’attore: ci sembra impossibile non iniziare con un primo piano di Humphrey Bogart…

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Sono un investigatore privato… e faccio questo mestiere da un pezzo. Sono un lupo solitario, non ho moglie, sto arrivando alla quarantina e non sono ricco. Mi hanno messo dentro più di una volta… Mi piacciono i liquori, le donne e il gioco degli scacchi… I poliziotti non mi hanno eccessivamente in simpatia, ma ne conosco un paio con i quali vado d’accordo… ho perduto entrambi i genitori, non ho fratelli né sorelle e quando, una volta o l’altra, mi faranno la pelle in qualche vicolo scuro… nessun uomo o nessuna donna se ne dispereranno.”

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Basterebbero queste poche frasi pronunciate dallo stesso Philip Marlowe a tracciare un’immagine dell’(anti)eroe più popolare del genere hard-boiled. Come un dolente blues uscito da un vecchio vinile di Willie Dixon, le parole disincantate di Marlowe ci fanno sentire la desolazione che abita la grande metropoli americana. L’audace pellicola di Robert Montgomery, La donna nel lago (1947), andrebbe riconsiderata proprio da questa prospettiva. Il lunghissimo flashback dell’occhio privato ci trascina in una terra di nessuno costringendoci a una disturbante identificazione con il detective. La macchina da presa si sovrappone completamente al corpo e allo sguardo di Marlowe in una perpetua e claustrofobica soggettiva. Scivoliamo rapidamente verso l’abisso insieme a reietti, puttane, alcolizzati, ricattatori di mezza tacca che brulicano nelle strade dei bassifondi. Ma l’aria dolciastra che si respira nei quartieri alti risulta ancor più asfissiante e velenosa. Il sarcasmo e l’ostinazione di Marlowe sono l’unico vero antidoto per far sopravvivere l’anima in questo girone infernale chiamato Los Angeles. Trovarsi un revolver puntato alla schiena da sicari spietati, dark lady e poliziotti corrotti sembra allora diventare un gioco, certo pericoloso da lasciarci la pelle, ma pur sempre un gioco. Invecchiando, in Marlowe si insinua una vena di sentimentalismo: pensiamo al legame con Lennox, l’amico dal quale verrà tradito ne Il lungo addio; oppure con Malloy, bestione che gli ricorda King Kong, un avanzo di galera innamorato della bellissima e mortifera Velma, la femme fatale di Addio mia amata.

Il personaggio creato dalla penna di Raymond Chandler vede luce nel 1939 nel romanzo Il grande sonno. Mentre Marlowe approda per la prima volta a Hollywood attraverso il volto di Dick Powell ne L’ombra del passato (1945) ? pregevole noir espressionista di Dmytryk tratto da Addio mia amata ? Chandler scrive alcune sceneggiature che annoverano almeno due capolavori come La fiamma del peccato e L’altro uomo. Nel passaggio tra romanzo hard-boiled e cinema hollywoodiano sarebbe inutile cercare nella scrittura una verità metafisica che ci riveli l’essenza di Marlowe. Se vogliamo avvicinarci all’immagine di Marlowe e sfiorare la nostra icona l’unica strada che ci resta è quella di seguire con fede il volto e il corpo dell’attore. Ci sembra impossibile non iniziare con un primo piano di Humphrey Bogart. “Quando entra nel film è già l’alba livida dell’indomani, irrisoriamente vittorioso del macabro combattimento con l’angelo, il volto segnato da ciò che ha visto e il passo pesante per tutto ciò che sa. Avendo dieci volte trionfato della morte, sopravviverà senza dubbio per noi una volta di più… ”. Allo straordinario epicedio di André Bazin aggiungiamo una postilla: ne Il grande sonno (1946) di Hawks, Bogey, il duro dall’anima sensibile, non sta interpretando un personaggio poiché Bogart è sempre stato l’immagine vivente di Marlowe.


Quando Robert Mitchum, corpo iconico del noir, incarna per la prima volta il detective nel film di Dick Richards, Marlowe, poliziotto privato (1975), è già un loser chandleriano ormai sulla soglia dei sessant’anni. Mitchum è la manifestazione di un Marlowe lacerato e crepuscolare. L’ironia e il sarcasmo non bastano più, il detective è sopravvissuto una volta di troppo. Il volto è segnato da rughe profonde, il corpo appesantito di Mitchum sembra andare avanti per inerzia più che per ostinazione. In Marlowe Indaga (1978) di Michael Winner ? remake de Il grande sonno ? Mitchum si ritroverà in una plumbea Inghilterra divorata dalla crisi economica. Lo stile di vita ribelle e anticonformista di Bogart e Mitchum e dei loro personaggi sembrano ormai confondersi totalmente con l’eroe tragico di Chandler. Marlowe troverà un volto interessante grazie anche a George Montgomery nel sottovalutato noir “freudiano” La moneta insanguinata (1947), di John Brahm. James Garner ? grande star televisiva morta di recente ? rilancerà la figura di Marlowe nell’era psichedelica di Woodstock in L’investigatore Marlowe (1969), di Paul Bogart.

Sia James Caan che Elliot Gould possono ormai “giocare” con l’immagine del detective, consapevoli che Marlowe è diventato una icona. Nel film di Rafelson, Marlowe – Omicidio a Poodle Springs (1998) ci troviamo agli sgoccioli dell’era kennediana. Caan è un attempato cinquantenne sposato felicemente con Laura. Esercita ancora il mestiere di investigatore privato ma al posto del cinismo subentra la paura di perdere le cose che ama. Si tratta di un Marlowe postmoderno e stracolmo di citazioni, lontano anni luce dalla disperazione di Mitchum. Ne Il lungo Addio di Altman, Gould è una sorta di fantasma, un Marlowe addormentato da vent’anni risvegliatosi nel 1973 in una Los Angeles, o meglio, in una (New)Hollywood radicalmente cambiata. Il volto di Gould non esprime durezza o cinismo, ma non difetta in strafottenza e autoironia. Quando Marlowe uccide a sangue freddo l’(ex)amico Lennox restiamo annichiliti per il tragico epilogo. L’azione violenta possiede però una funzione catartica: nei titoli di coda le tristi note bluesy di The Long Goodbye, che accompagnano Gould per tutto il film, lasciano il posto a un allegro swing e al suono della sua armonica. Finalmente Marlowe può danzare leggero come in un musical in terra messicana, spazio utopico per eccellenza della New Hollywood.

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