“Nina”, di Elisa Fuksas


Il film fallisce in ogni suo tentativo di astrarsi, di farsi racconto visivo, poema rarefatto e geometrico dell’animo. Un oggetto per forza di cose senza amore, che non si strugge nemmeno del suo non riuscire a farsi racconto dolente, ma anzi un po’ ne gioisce quasi: il suo fallimento sta proprio nel non voler affrontare mai sul serio questa distanza autodisciplinata, preferendo tentare invece di darle una forma asettica e il più possibile minimale

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L’esordio nel lungo di finzione di Elisa Fuksas è “oggetto” perfetto per fare i conti con i problemi di visionarietà del cinema italiano (altri problemi? meglio: di certo cinema italiano – chi sa cercare trova oggi una generazione intera di fantastici sperimentatori nostrani del cinema che porta avanti una tradizione forse troppo dimenticata di azzardi filmici…). Nonostante il dispendio di cure e dell’autrice e del sempre bravo direttore della fotografia Michele D’Attanasio, Nina fallisce alla fine in ogni suo tentativo di astrarsi, di farsi racconto visivo, poema rarefatto e geometrico dell’animo.
La giovane protagonista vaga per la deserta Roma d’agosto mentre decide cosa fare della sua vita, se partire, restare, innamorarsi o meno di uno sconosciuto incontrato ripetutamente nelle situazioni più differenti. Nel frattempo bada al cane, al criceto e ai pesci di un amico, in un enorme appartamento vuoto nel quale viene visitata da una sorta di portinaio bambino che vaga per il condominio grazie al suo passe-partout. La ragazza si nutre solo di dolci, torte, gelati. Diverse visioni sotto il solleone: origami giganti di animali invadono il colosseo quadrato, e via dicendo.

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E dunque. Davvero non c’entra la sfrontatezza di attraversare per intero tutti i riferimenti di cui si fa ricettacolo il panorama postumano dell’EUR, né l’ennesima attrice “leggera” che tenta il trasferimento nel campo autoriale con una storia giusto accennata e portata avanti per abbozzi e bozzetti (l’esperimento-Fleri –Roma-trasognata non troppo infine lontano dall’esperimento Gerini-Milano-trasfigurata dell’ultima Marina Spada, per capirsi). Luca Marinelli fa Corso Salani in Occidente, e forse lui solo lo sa. Nina è un capriccio, inteso anche in senso architettonico, che probabilmente non possiede il fuoco sacro dell’esordio a tutti i costi, pur mantenendo una certa onestà nel racconto di una distanza emozionale dalle cose, dagli affetti e dalle persone: e però il suo fallimento sta proprio nel non voler affrontare mai sul serio questa distanza autodisciplinata (il maestro di ideogrammi Mahieux), preferendo tentare invece di darle una forma asettica e il più possibile minimale. 

Ne viene fuori un oggetto per forza di cose senza amore, che non si strugge nemmeno del suo non riuscire a farsi racconto dolente, ma anzi un po’ ne gioisce quasi: il consiglio, tra tutti i cineasti "romani" che verranno nominati a paragone del film di Elisa Fuksas, è quello invece di guardare a Scusate il ritardo di Massimo Troisi, un cineasta tra l’altro meravigliosamente architettonico, e al paesaggio interiore e alle situazioni di pericolosa aridità emozionale simili a conti fatti a quelle di Nina che quel cinema raccontava pur senza rinunciare a ragionare sullo spazio tutto intorno a noi prima di certificarlo come irrimediabilmente vuoto.

Regia: Elisa Fuksas
Interpreti: Diane Fleri, Andrea Bosca, Luigi Catani, Ernesto Mahieux, Luca Marinelli, Marina Rocco
Origine: Italia, 2012
Distribuzione: Fandango
Durata: 80'

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