Ninna Nanna, di Dario Germani e Enzo Russo

Nonostante i bravi interpreti Ninna Nanna soffre del bisogno eccessivo di rassicurare lo spettatore, con ripetuti dialoghi e sottofondi musicali, sfociando in sequenze prive di ogni buon rischio.

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È sicuramente un fatto fondato sull’esperienza che la linea di demarcazione fra bello e brutto non sia poi così netta. Per concepire un figlio ad esempio è necessario un atto molto bello ma farlo venire al mondo non è propriamente una passeggiata sotto la luna. E se dopo la “fuoriuscita” c’è sempre la quiete spesso ci vuole un bel po’ prima che la madre si riprenda. La storia di Ninna Nanna è proprio questa, quella della depressione post partum di Anita, enologa talentuosa realizzata nel lavoro e nel matrimonio con Salvo, con cui aspetta la piccola Gioia. Ma dopo averla partorita Anita non riesce a vederla come la figlia che prima era dentro di lei e che le si rivela adesso come un piccolo mostro che minaccia la sua libertà e femminilità.

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Opera prima di  Dario Germani e Enzo Russo, Ninna Nanna racconta una realtà comune a molte donne e lo fa scegliendo il bel volto della senese Francesca Inaudi, abile nel restituire l’incedere della malattia. Il tema della depressione è un tema poco raccontato nel cinema italiano, forse perché non è semplice raccontare un depresso e tutti i silenzi che lo stesso comporta. Nel caso della depressione post partum la questione si fa più spinosa perché di mezzo ci vanno i bambini, non più visti come cuccioli profumati ma che diventano agli occhi della madre un vero e proprio pericolo. Ninna Nanna da questo punto di vista si può considerare un film coraggioso che però si tira totalmente indietro quando sceglie di immettersi in una ripetuta tendenza del cinema italiano odierno.

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Sceneggiatori e registi sembrano spauriti e terrorizzati di perdere l’attenzione di chi guarda, come se lo spettatore privo della loro guida si perdesse senza comprensione nelle immagini.  Nonostante i bravi interpreti e una piacevole controparte comica capitanata da Nino Frassica, Ninna Nanna soffre di questo paura di non essere sufficientemente chiaro, di questo bisogno di rassicurare che sfocia in sequenze didascaliche prive di ogni buon rischio. È proprio così che il  cinema italiano va a braccetto con le modalità da piccolo schermo, dove invece di far parlare le immagini o lasciare il campo al silenzio degli sguardi si eccede con dialoghi e sottofondi musicali… L’emozione trabocca e diventa stucchevole.

Questo  timore che pervade il film, si ravvisa anche nel raccontare la depressione stessa. Passi il sottofondo pittoresco dei personaggi siciliani e passi raccontare (ancora e ancora) la bellezza della tradizione italiana. Ma perché si sente l’esigenza di giustificare il malessere, quando spesso il malessere perde le sue giustificazioni nei più profondi meandri dell’inconscio?  L’eccessivo rimando al rapporto di Anita con la madre finisce per distogliere dalla malattia, che quando è protagonista impressiona chi riceve il racconto. Un neonato visto come un mostro non ha bisogno di aggiunte. Se si fosse lasciato andare nel suo faccia a faccia con il vuoto, Ninna Nanna sarebbe stato un film predisposto a raccontare il nero che si raccoglie in una persona e soprattutto in una madre che odia il proprio figlio.

 

Regia: Dario Germani, Enzo Russo
Interpreti: Francesca Inaudi, Fabrizio Ferracane, Nino Frassica, Manuela Ventura
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Plumeria Film s.r.l
Durata: 112′

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