No Escape – Colpo di Stato, di John Erick Dowdle

Un copione colonialista/imperialista degno del miglior Menahem Golan declinato senza troppa fantasia in una chiave a metà tra “home invasion” e “disaster movie” in versione esotica

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John Erick Dowdle e il fratello Drew, da sempre suo co-produttore e co-sceneggiatore, hanno un’ossessione per la claustrofobia, la reclusione: un cinema tafofobico che adora tenere prigionieri i propri personaggi nelle Necropolis, nella Quarantena dei remake (del seminale REC di Balaguerò), negli ascensori indemoniati (Devil, affidatogli da Shyamalan). Non c’è scampo, no escape appunto, da un’idea di messinscena che sembra allora evidentemente appoggiarsi su modelli e strategie già codificati e sfruttati a lungo non solo a Hollywood.

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Da questo punto di vista l’ultima fatica dei Dowdle Bros riesuma un copione colonialista/imperialista degno del miglior (?) Menahem Golan per declinarlo senza troppa fantasia in una chiave che in principio può ricordare i canoni di un horror da “home invasion” in versione esotica. L’albergo in landa asiatica al confine col Vietnam in cui il protagonista trasferisce moglie e due bambine per il suo nuovo impiego da servo delle multinazionali dell’acqua viene assaltato da guerriglieri assetati di sangue e armati fino ai denti, che vogliono la testa di ogni straniero giunto in città per instaurare il Nuovo Ordine Mondiale.
La fuga dei nostri innesca percorsi da disaster movie risaputo, col tenace Owen Wilson (non lo si vedeva in questo genere di produzioni forse dai tempi di Behind enemy lines…) a cui l’emergenza farà alla fine gioco per ritrovare l’unità del suo nucleo famigliare disgregato dalla disgraziata idea di emigrare dagli States: in questo la sequenza in stile Angry Birds umano in cui Owen catapulta una alla volta le piccole figlie dalle sue braccia a quelle della madre Lake Bell che si trova sul tetto del palazzo affianco farebbe la gioia di certa feminist film theory per quanto è metafora esplicita delle tensioni interne a casa Dwyer, come si chiamano gli eroici coniugi di questa storia.

In realtà ci si diverte ben poco, e quando c’è in scena qualcuno che con ogni evidenza va sghignazzando come Pierce Brosnam nell’ennesima irresistibile parodia nella sua carriera recente di un James Bond in pensione ai confini del Commonwealth a svernare con intrighi di stato, camicie tropicali e vizio della bottiglia, poi lo script è costretto a farlo sentire in colpa con dieci minuti di sparata sui danni irreversibili della politica estera disumana delle diaboliche corporation occidentali.
Ridateci la Cannon, probabilmente Golan o chi per lui si sarebbe ricordato di infilare un cattivo incazzatissimo a capo di tutto l’esercito ribelle (ad un certo punto fa capolino un tipo che usa come cartello Wanted lo striscione di benvenuto con le facce di Dwyer e dei suoi colleghi cani americani, e per un attimo ho sperato fosse lo spietato antagonista, poi l’ho perso di vista ma insomma, addirittura il rigorosissimo Brillante Mendoza di Captive teneva a mente una regola del genere), e avrebbe architettato ostacoli più briosi e sovrumani da far superare ai nostri in maniera pirotecnica.
D’accordo, questo non è un film di Joseph Zito. Che peccato.

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    Un commento

    • Completamente d’accordo, il titolo NO ESCAPE significa che non c’è via di scampo per gli spettatori delle poltrone centrali, se lo devono sorbire almeno fino all’intervallo.